Claudio Grassi (Prc) spiega che la “tenaglia” di oggi nasce dagli errori di ieri
Dopo il «plof» alle Regionali arriva debole al confronto sul programma
Bertinotti è stretto in una tenaglia, rischia di essere marginalizzato. E questo è frutto di un cumulo di errori». Questa, in sintesi, la tenera analisi di Claudio Grassi, leader dell’area dell’Ernesto, la minoranza più consistente di Rifondazione. Dopo il polemico confronto al congresso di Venezia, Grassi assiste ora all’«offensiva neocentrista» dei moderati dell’Unione con l’aria di chi pensa «l’avevo detto». «Avevamo posto la questione del programma, e la realtà dimostra che le nostre preoccupazioni erano più che fondate», dice: «I punti di dissenso con Ds e Margherita sono evidenti. E noi, dopo esserci baloccati con le primarie, arranchiamo per una serie di errori fondati su un’analisi che s’è rivelata sbagliata».
Addirittura?
«I fatti degli ultimi due mesi dimostrano senza dubbio la fragilità dell’impianto politico costruito dalla maggioranza del Prc. Bertinotti sosteneva che nel Paese c’era un “vento di sinistra”. Era il senso su cui aveva impostato le conclusioni del congresso. Si pensava a un successo alle regionali, cui sarebbero seguite le primarie con Prodi, e una visibilità fino alle politiche. Si credeva che saremmo stati noi a mettere in difficoltà i moderati.
E invece?
Tolto il risultato personale di Vendola, siamo nella situazione opposta. Lo spostamento a sinistra non c’è stato. Anzi, si è rafforzata la componente moderata. Così oggi rischiamo di essere marginalizzati. I movimenti sono in stallo, come si è visto dalla scarsa partecipazione alla riunione del “Cantiere”’, mentre c’è un’offensiva fortissima dei centristi.
E Bertinotti ha lanciato “l’allarme programma”.
Bene. Però siamo in ritardo: gli elettori ci hanno votato perché siamo l’alternativa a Berlusconi, ma nessuno sa quale è il programma della sinistra. E le risposte che arrivano dai riformisti sono preoccupanti.
Non le piace l’inneggiare a Blair?
Quello è un sintomo: dimostra che non è vero che il centrosinistra ha maturato una posizione diversa rispetto a quella degli anni 90. Ma senza discontinuità non andiamo da nessuna parte. E se devo prendere per buono quello che dicono ai giornali Fassino, D’Alema e Amato, diventa difficile anche iniziare a discutere.
Si riferisce al nodo della politica estera?
Il rifiuto della guerra è la precondizione per tutto il resto.
Lo sostiene anche Franco Giordano.
Giordano oggi dice quello che noi abbiamo scritto nella mozione, pone quei “paletti” così criticati al congresso. Aggiungo che non è sufficiente chiedere il rispetto dell’articolo 11. Il primo punto del programma dovrebbe essere che non parteciperemo a nessuna guerra.
E che vi ritirerete immediatamente dall’Iraq.
Ovvio. Senza aver definito questo, discutere di tutto il resto è una perdita di tempo. Perché è un punto su cui siamo pronti a rimettere in discussione la partecipazione all’esecutivo.
Beh, ora il confronto comincerà. E Bertinotti dice che saprà trovare una terza via.
Me l’auguro, però registro che su pace e guerra la terza via non c’è. Quanto agli altri temi, rischia di essere marginalizzato: ha già dato per scontata la presenza del Prc al governo, e così ha indebolito la partita programmatica. Per questo, ora dovrebbe lavorare a una piattaforma comune con le altre forze della sinistra.
Lui dice che non ha «bisogno di suggerimenti».
Lo so. Le Regionali dovevano suggellare il fatto che le minoranze del Prc sono dei rompiscatole fuori dal mondo. Invece, il “plof” ha dimostrato il contrario. Bertinotti dovrà abituarsi che le minoranze esistono. E che a volte hanno pure ragione.