BERTINOTTI il non violento nella Bologna dei compagni che sbagliano. Il leader che esprime «piena solidarietà umana e politica» a Giuliana Ferrara e bacchetta «l’ingiustificata contestazione» faccia a faccia con il suo segretario Tiziano Loreti che si «dissocia», il capogruppo in Regione Leonardo Masella che trova «assolutamente inconcepibili le parole del capo, del verde Carlo Bottos che ha contestato Ferrara e definisce «assurde e fuori luogo» le dichiarazioni del leader della sinistra radicale. Oggi alle 16,30 ai giardini Margherita il candidato premier della sinistra Arcobaleno si troverà di fronte decine di compagni e dirigentilocali del Prc, dei Verdi, del Pdci che non solo non la pensano come lui, ma a dieci giorni dal voto hanno manifestato pubblicamente la loro distanza.
Tra i rifondatori che chi dice che Fausto Bertinotti, ex presidente alla Camera abbia volutamente calcato le mano, nel prendere le distanze dai contestatori di Ferrara per marcare ancora più nettamente il profilo del partito che nascerà dopo le elezioni. C’è chi sostiene che la “picconata” non sia piaciuta alla base, se tanti dirigenti locali si sono spinti a manifestare in pubblico la loro contrarietà. Certo è che la questione «violenza» emerge ancora una volta come uno dei nodi irrisolti nella sinistra radicale. Un nodo che il comizio di Ferrara ha fatto emergere con una nettezza non immaginabile in altri tempi, soprattutto nel finale di una campagna elettorale.
«Quanto è successo a Bologna -ha detto Bertinotti dopo le contestazioni – mi è molto dispiaciuto perché nessuno può accettare in una condizione di confronto civile una contestazione sprezzante e caratterizzata da comportamenti violenti». Una presa di distanza dagli intolleranti senza tentennamenti, in linea con altre dichiarazioni dell’ormai ex presidente della Camera. «In un momento difficile come questo – ha spiegato Bertinotti – è tanto più necessaria la non violenza. Trovo assolutamente ingiustificata la contestazione a Ferrara, pur restando sul versante opposto al suo e senza vedere alcun parallelismo con gli anni di piombo».
In altri tempi la cosa sarebbe finita lì. Magari con qualche mugugno dei dirigenti bolognesi che invece avevano difeso la contestazione in piazza. Ma questa volta da Bologna è partita una pubblica bordata di fischi anche per il candidato premier dell’Arcobaleno. Assessori del Pdci come Anna Patullo, consiglieri regionali del Prc come Masella, dirigenti come Loreti («Non è stato contestato Ferrara, ma ciò che dice; un conto sono le sedie tirate e le manganellate, entrambe da condannare, un conto sono i fischi»), non hanno esitato a dissentire e difendere i lanciatori di uova e pomodori e chi ha tentato di prendersi il palco. Il verde Bottos è andato più in là: «Non si può chiamare violenza il lancio di uova e ortaggi. Abbiamo una classe politica vecchia, decrepita, priva di fantasia che continua a vedere lo spettro degli anni ’70 ogni volta che ragazze e ragazzi contestano e protestano». E Valerio Monteventi, l’ex portavoce del Bologna Social forum, consigliere indipendente del Prc è arrivato a una conclusione categorica: «Se nessuna forza politica ascoltale istanze che vengono dal basso, vuol dire che in Italia la sinistra è finita».
Posizionamenti in vista del nascente partito della sinistra, dicono in tanti. Ma quel che è certo è che sulla violenza il solco tra il leader nazionale e i bolognesi è molto largo. E, se non verrà accantonato per esigenze elettorali, farà capolino oggi nel dibattito con Bertinotti ai giardini Margherita.