Bertinotti boccia la Cgil

“La mia assenza è dovuta agli impegni che avevo preso in occasione del Forum sociale di Porto Alegre, altrimenti mi avrebbe fatto molto piacere essere a Rimini”. In procinto di tornare dal Brasile proprio alla vigilia del carnevale di Rio, Fausto Bertinotti ci tiene a tenere ben distinte le ragioni della sua mancata partecipazione al congresso della Cgil da un giudizio che è assai critico. Benché il combinato disposto tra la scelta di rimanere in Brasile e i rilievi mossi a Cofferati induca il leader del Prc a riflettere: “Può essere che si tratti davvero di una diversa idea della politica, in cui il movimento in tutte le sue espressioni si configura come un punto di vista altro rispetto a quello tutto interno al sistema di relazioni date”.

L’assenza del segretario del Prc, comunque, è stata notata. Altri leader che erano a Porto Alegre sono tornati…

Avevo preso impegni e avevo un programma da seguire, perché Porto Alegre non l’ho deciso io né potevo chiedere alla Cgil di aspettarmi. Più che la mia assenza, comunque, spicca quella del governo; per me, in fondo, si tratta del primo dal 1964 a cui manco.

A maggior ragione spiccava la poltrona vuota. Davvero non esprimeva anche il giudizio critico?

Assolutamente no. Ci sarei stato più che volentieri. Il giudizio, invece, è un’altra cosa: mi pare che il titolo scelto da Liberazione sia stato giusto: “La Cgil non cambia rotta”. Esprime il prevalere di un elemento continuista, pure in una situazione così degradata in cui lo star fermi può perfino configurarsi come una posizione più di sinistra. Con il governo da una parte e il centrosinistra che non si schioda dalle politiche neoliberiste e dalla guerra dall’altra, la Cgil che rimane abbarbicata alla concertazione può apparire diversamente collocata per uno strano gioco di specchi.

Invece?

Strategicamente il sindacato confederale è reduce da un’esperienza di concertazione risultata fallimentare, segnata dalla riduzione dei salari reali e dall’aumento della precarietà del lavoro. Una politica così fallimentare che è stata concausa del crollo del centrosinistra. Con una conseguenza negativa dal punto di vista sociale e due dal punto di vista politico. Socialmente, ha segato l’albero su cui stava il sindacato: l’autorità salariale e il monopolio della forza lavoro pregiudicato dalla precarizzazione. Politicamente, ha incrinato l’autorevolezza del sindacato, che ha concorso alla crisi delle politiche del centrosinistra. Quella politica è fallita, e quando è fallita è stata bucata da destra, dalla Confidustria di D’Amato e da Agnelli che ha spalleggiato Berlusconi. A quel punto la Cgil si è trovata orfana della concertazione. Ma invece di scegliere una linea di uscita da quella politica, una linea di democrazia e di autonomia rivendicativa, ha scelto di conservare quella politica.

Ma davvero si può dire che la Cgil è abarbicata alla concertazione quando scegli di giocare una battaglia sulla ragion d’essere del sindacato sull’articolo 18, a costo di andare in rotta con Cisl e Uil?

Naturalmente la difesa dell’articolo 18 è giustissima, essenziale. Ma è priva di una piattaforma di uscita dalla crisi del sindacato: perché allora non si propone l’estensione dell’articolo 18 a tutti i lavoratori? Trovo singolare che il sindacato non abbia una piattaforma sociale: vorrei sapere che pensa la Cgil della riduzione dell’orario; vorrei sapere qual è la linea rivendicativa nei confronti delle politiche salariali, non solo in termine di collegamento all’inflazione ma in termine di salario sociale per i disoccupati di lungo periodo, per esempio. Solo perché la Cgil critica la politica dei Ds la si deve apprezzare? Questo volgere il sindacato nel politicantismo per me è disastroso.

Politica o no, la Cgil è anche impegnata in una lotta rivendicativa con il governo sulle deleghe sul mercato del lavoro e la previdenza…

Io penso che sia stato regalato al governo un vantaggio enorme per la mancata conferma dello sciopero generale dopo gli scioperi dei metalmeccanici. La Fiom ha fatto una cosa coraggiosissima sul contratto: è andata allo sciopero da sola e ha trovato la conferma che rompendo l’ultimo anello della catena concertazione-unità confederale-tregua sociale si viene premiati con una partecipazione straordinaria. Passano i mesi, cambia la stagione e la Fiom, che intanto aveva scelto di essere a Genova e nel movimento, ricarica: la doppia scelta premia e la Fiom chiede lo sciopero generale che non arriva sull’articolo 18. Anche su questo la Cgil non trova il coraggio di fare da sola e al congresso considera l’esperienza dei metalmeccanici un problema invece che un’opportunità. Perciò penso che non cambia rotta. Non chiedo alla Cgil di fare i Cobas, le chiedo di fare la Fiom.

A proposito del movimento, nella relazione e nell’incontro di Cofferati con Agnoletto c’è il desiderio vero di recuperare il tempo perduto.

Sono abituato a ragionare sui fatti, e a Porto Alegre non ho visto un grande impegno della Cgil. E’ la presenza di un’organizzazione nella costruzione di un movimento che conta, non evocarla attraverso le relazioni di ceto politico. Non vedo nella posizione della Cgil il netto rifiuto della guerra e delle politiche neoliberiste.

Sulla guerra è stata più netta di molta parte della sinistra italiana e dei sindacati europei…

Era una posizione equivoca: non hanno detto siamo contro l’adesione dell’Italia. Se è contro la guerra dice no e fa di tutto per il ritiro dell’Italia, se è contro le politiche neoliberiste chiede la riduzione dell’orario: perciò a me pare che la Cgil perda un’occasione storica.

Cofferati, comunque, promette di riproporre a Cisl e Uil lo sciopero generale…

E vabbé, e lo rispondono: rifiutato, rifiutato, rifiutato. Quello schema è perdente, fa della Cisl l’agente principale del sindacalismo confederale. Proprio quella catena, invece, va spezzata.

E se la Cgil arrivasse da sola allo sciopero?

Quando lo facesse l’apprezzerei moltissimo, anche se arrivasse tardissimo.