Bertinotti a un passo dalla crisi. Meglio il cantuccio dell’opposizione

Pasquale Laurito, uno dei decani dei giornalisti parlamentari, estensore della Velina rossa, Vincenzo Cardarelli se lo ricorda bene: primi anni Sessanta, via Veneto, davanti allo Strega o a Doney, l’anziano poeta sempre seduto e sempre infagottato, con il plaid sulle gambe fosse pure luglio. «Gli scrittori più giovani – ricorda Laurito – lo ammiravano ma il più geniale di loro, Ennio Flaiano, lo bollò a modo suo, “Cardarelli, il più grande poeta morente”, poi invece lui visse ancora molti anni, e i giovani lo invidiavano…».
Ma si può infilare il poeta post-crepuscolare in un articolo di cronaca politica? Oggi si può. Ce lo ha fatto entrare Fausto Bertinotti, con la sua dura intervista a Repubblica, laddove ha paragonato il governo Prodi, appunto, al “grande poeta morente”. Un modo ironico (lo ha sottolineato poi lui stesso) per segnalare al mondo lo stato agonico in cui versa l’esecutivo. Che «sopravvive, fa anche cose difendibili, ma che lentamente ha alimentato le tensioni e accresciuto le distanze dal popolo e dalle forze di sinistra». Il presidente della camera non aveva avvertito nessuno della sua volontà di rovesciare il tavolo spiazzando amici e avversari, compagni e alleati. «Bertinotti non ha cambiato nulla dei discorsi che facciamo da tempo – spegne gli ardori Franco Giordano – la nostra analisi è che c’è un cambio di fase». Ma da Prodi può ancora arrivare una spinta riformatrice? Risposta secca: «Non è nel novero delle cose possibili».
Manca il sigillo finale, la pietra tombale. Prodi respira ancora ma certo non deve esserci rimasto benissimo. Ma è stato Walter Veltroni a bacchettare un po’ dalemianamente il presidente dela camera: «La verifica? Vedremo. Solo la parola mi fa venire il mal di fegato». Il Maalox che D’Alema usa con i giornalisti. Seriamente: «Penso che in questo momento creare difficoltà al governo significa anche indebolire la prospettiva delle riforme istituzionali ed elettorali», ha sintetizzato Veltroni.
Per adesso il governo non cade. Salvo sorprese, anche Rifondazione ha interesse a che passino Finanziaria e welfare: i lavoratori non gradirebbero il ritorno dello scalone, per dirne una. Però certo il presidente della camera, nonché leader del primo partito della sinistra radicale, che reclama «il diritto di tornare all’opposizione», non è il Bertinotti del 2006, quello che sale sullo scranno più alto di Montecitorio per garantire “la sinistra” nella stanza dei bottoni. Come Nenni (anche se lui preferisce rifarsi al suo avversario, Riccardo Lombardi) il Prc non sembra aver trovato i bottoni. E allora quale migliore rifugio del cantuccio familiare dell’opposizione?
Con questo ragionamento, a pochissimi giorni dagli Stati generali della Cosa rossa, Bertinotti lancia la sua opa. Attirandosi però gli strali di Diliberto, Mussi e dei Verdi, infastiditi una volta di più dell’azzardo egemonico di Fausto per di più sotto il segno dell’opposizione. Mussi, in particolare, si ricorda di essere cresciuto alla scuola del Pci: «Non esiste grande forza politica che non parta sempre da un’ambizione di governo». Pare una riedizione in sedicesimo dello scontro fra destra e sinistra all’ombra del Bottegone, quarantanni fa.
Alla luce dell’intervista di ieri la discussione in direzione di lunedì appare lunare, lontana anni luce dalla realtà. Quel vagheggiare di “verifiche” si è ripetuto anche ieri mattina alla riunione del gruppo dei senatori, poi Russo Spena ha chiarito ai compagni che c’era qualche novità… A dire il vero, anche Giordano ha parlato ieri di salari, di precari eccetera. Ma è un rosario che si sgrana per abitudine, fuori dal contesto. Se davvero Prodi ha esaurito la spinta riformatrice, che spazio c’è per un intervento sui contenuti? Lo scenario dipinto dai bertinottologi (va riportato per dovere di cronaca) prevede la caduta del governo a gennaio e la nascita di un “governone” istituzionale con l’appoggio esterno del Prc. Un esecutivo per fare alcune cose, una legge elettorale, per esempio, nel solco della preintesa Veltroni-Berlusconi. Un governo presieduto da chi? Le malelingue lasciano circolare l’ipotesi che Fausto lavori per sé. Cattiverie. Il congresso, ovviamente, slitterà. Sine die.