Bertinotti: “A scuola la storia di Pesce”

Sta lì seduto accanto alla nonna Nori, lo sguardo fisso sulla bara. Davide, il nipote 28enne di Giovanni Pesce, si commuove quando Bertinotti dice che la storia di «Visone» dovrebbe essere raccontata nelle scuole. E confessa: «Il giorno prima che morisse ho voluto parlargli anche se ormai era immobile e privo di conoscenza: “Dai nonno, tieni duro”. Mi ha guardato, e ha fatto cadere una lacrima: una lacrima triste e piena di amore, quel momento non lo dimenticherò mai».
E SONO lacrime anche quelle che, qui nella sala Alessi di Palazzo Marino gremita per l’ultimo saluto a Giovanni Pesce, rigano il viso di Letizia Moratti. È venuta al mattino, a salutare la vedova, la figlia, il nipote. Adesso le tocca aprire i discorsi di commemorazione, ma quello che aveva preparato lo butta via, e parla a braccio. Quando il sindaco finisce, anche Bertinotti ha i lucciconi ed è il primo a stringerle la mano: riesce a dire solo «grazie», non finisce più di dirlo, e davanti a questa bara ricoperta di rose rosse, con ai piedi la bandiera dei repubblicani spagnoli e la medaglia d’oro al Valor militare, ritrova con il sindaco di destra il feeling nato l’ultimo 25 aprile in piazza Duomo, quando l’aveva abbracciata davanti a un gruppetto di contestatori. C’era anche Pesce, e disse che era contento perché dopo tanti anni «finalmente un sindaco parla in piazza». Oggi niente fischi, e Letizia si prende pure gli elogi dell’onorevole diessino Lele Fiano: «Brava Moratti». Parlano in tanti: il presidente dell’Anpi Tino Casali (il più applaudito), il vicepresidente della Provincia Alberto Mattioli, il segretario di Rifondazione Franco Giordano, il ministro Barbara Pollastrini.
All’ingresso della sala Alessi ci sono due registri, e fin dal mattino c’è la fila, non solo per firmare. Generazioni accomunate da un ricordo colmo di gratitudine. «Fai buon viaggio», scrive secco il partigiano Cesare Fornara. «Ciao Giovanni — saluta un signore di mezza età — rimarrai nel mio cuore e in quello dei miei genitori che ti furono compagni
in Spagna». Poi Monica, una ragazza: «Grazie per averci fatto scoprire che cos’erala Resistenza, un bacio». E ancora: «La gente come te non dovrebbe mai morire», «Ti bastino la mia riconoscenza e le mie maniche rimboccate», «Grazie comandante, da me e dai miei figli», «Hai raggiunto gli altri del Gap “Di Nanni”», «Nella speranza di valere un centesimo di quello che tu fosti», «La Milano libera ti piange». Una dedica è in castigliano, la scrive una donna, Teresa: «Gra-cias por tusolidaridad y tu valencia; Espana te tiene siempre en el corazòn, companero volontario de la libertad». Attorno al feretro, il picchetto d’onore: due file da quattro, davanti una coppia di ghisa in alta uniforme, dietro si alternano consiglieri comunali della sinistra, dirigenti di partito, partigiani. Il vecchio Armando Cossutta non vuole dare il cambio della guardia, il viso che sembra una maschera di dolore. Poi la bara di noce esce tra gli applausi dalla sala Alessi, a portarla in spalla c’è anche Davide, il nipote. In piazza della Scala rimbomba un solo slogan “Ora e sempre Resistenza”, e a interromperlo sono le note del Silenzio suonate dalla banda di Crescenzago. Letizia Moratti tiene fra le sue la mano di Nori, la vedova: le parla fitto e la consola, mentre nella piazza si diffonde la colonna sonora di tutti i funerali partigiani: “Fischia il vento”, che tutti cantano, poi “Valsesia” (“quando si tratta di attaccare, noi garibaldini siamo i primi…”), e alla fine, “l’Internazionale”, ma il sindaco è già andato via. Ancora applausi, prima del penultimo viaggio di Visone. Destinazione Lambrate, ma da settembre — questa la promessa— riposerà al Famedio.