Berlinguer: riportiamo i Ds a sinistra

Dopo il congresso, le mozioni non dovranno generare correnti. Il partito deve essere unito, come l’Ulivo, che dovrà diventare non solo una coalizione, “ma un soggetto politico con regole condivise anche sulla scelta del premier”. Tocca a Giovanni Berlinguer presentarsi al “botteghino” per illustrare la sua mozione, non in sala stampa, come avevano fatto prima di lui Enrico Morando e Piero Fassino, ma in una più ampia stanza al secondo piano, riempita da esponenti del “correntone” sorridenti e speranzosi. C’è anche Antonio Bassolino, in ultima fila, e Sergio Cofferati, attesissimo, arriva verso la fine dell’incontro, senza sovrapporsi al candidato.
Come premessa, dunque, il pieno – e scontato – accordo con Fassino sulla necessità di evitare divisioni. E la promessa di un’opposizione senza sconti al governo, tema sollevato nei giorni scorsi dal leader della Cgil. Ma, oltre alle invocazioni, il candidato del centrosinistra della Quercia vuole rispondere anche alla domanda che gli viene rivolta in questi giorni. E qui la musica cambia. “La domanda è: cosa vi divide e cosa vi distingue?”. E la risposta è pacata nei toni quanto sferzante: “Ci divide l’analisi della sconfitta e le conclusioni che se ne devono trarre. La differenza è tra chi crede che bisogna superare un deficit di cultura riformista, e vorrei capire meglio cosa vuol dire, e noi che crediamo si sia scontato un deficit di sinistra”. Insomma, “si è verificato un graduale spostamento a destra dei Ds”. Non solo: “Nella sua mozione Fassino dice che corriamo rischi di movimentismo, a me sembra che stiamo favorendo la perdurante stagnazione del movimento in Italia, e ci ritroviamo senza una nostra posizione nei confronti del movimento antiglobal che esiste da 10 anni”.
Non che Berlinguer sposi in completo i no global. Promuove Vittorio Agnoletto, ma non le “tute bianche e alcuni dirigenti che hanno pronunciato parole di violenza che pesano perché qualcuno le prende sul serio”. Quanto alla globalizzazione, “è il modo di essere dell’homo sapiens nel 2001”, dire no “è retrivo, ma c’è chi chiede che la globalizzazione promuova una partecipazione dei cittadini del mondo alle decisioni”. Il rapporto che i Ds dovrebbero avere con il social forum? “Non capisco perché Bertinotti sia andato con Agnoletto a Bruxelles o viceversa: è un danno mettere un marchio politico su un movimento così nobile”.
Ma, sgombrato il campo dalle voci messe in circolazione su una sua possibile presidenza della Quercia con Fassino segretario, l’obiettivo delle risposte resta il candidato dei dalemiani: “Non basta dire: siamo per il socialismo europeo”. Perché, a proposito di globalizzazione, “lì ci sono sono stati silenzio e corresponsabilità in decisioni dannose”. E ancora, il candidato del “correntone” distingue da quella di Fassino la sua idea di partito: “Non leggero o dogmatico”, ma aperto alla società, “che viva con il contributo dei cittadini e degli iscritti”; che sia una “casa del dialogo”, non una casta, seppur “nobile”. Infine, l’affondo, sulla modernizzazione: “Secondo Fassino rappresenta l’unica maniera in cui la sinistra può recuperare. Io vedo il rischio che in questo modo si dia la patente di modernizzatore a Berlusconi. Con il governo dell’Ulivo l’Italia si è modernizzata profondamente, e io non vedo nulla di moderno nel tentativo di calpestare conquiste che i lavoratori hanno impiegato un secolo ad acquisire”. Il difetto del governo di centrosinistra? Non quello di non saper trasmettere – versione Fassino D’Alema – “ma quello di non saper ascoltare”.
Prima che in sala arrivi anche Cofferati, Berlinguer risponde all’intervista del presidente di Confindustria, Antonio D’Amato: “Dice che Cofferati fa politica. Perché, D’Amato, che segue passo per passo quello che fa Berlusconi?. Cofferati è iscritto ai Ds…”. E Cofferati, fuori dalla sala, ribadisce il concetto: “Non c’è nessuna intenzione della Cgil di influenzare la discussione del partito. C’è semplicemente la richiesta degli iscritti e dei militanti, come io sono, di partecipare al dibattito”.