Beirut, governo sotto assedio

Una grande tendopoli con alcune migliaia di dimostranti dell’opposizione libanese occupa da 48 ore la centralissima e immensa piazza dei martiri e quella, attigua, di Riad el Solh che sorge alla base di una collinetta dominata dal grande palazzo ottomano del «Serraglio» sede del governo filo-Usa di Fouad Siniora. I dimostranti bloccano ormai tutti gli accessi al palazzo tranne uno, guardato a vista da centinaia di soldati e decine di blindati. Le decine e decine di grandi tende nelle quali hanno passato la notte i militanti sciiti degli Hezbollah, quelli cristiano-maroniti del Movimento patriottico libero del generale Aoun (con tanto di frate che portava in una mano la croce e nell’altra il corano), esponenti sunniti di Sidone, giovani progressisti e comunisti, in un inedito melting pot interconfessionale, sono state issate venerdì notte al calar della sera ma l’affluenza ai picchetti notturni è stata così massiccia – almeno 5.000 persone – che la gran parte ha passato la notte sui materassini. Senza però rinunciare ad una buona fumata con il narghile portato da casa insieme al thermos con il tè.
Una perfetta organizzazione facente capo ad un coordinamento insediatosi oltre tre mesi fa tra le forze principali della protesta (Hezbollah e il Movimento di Aoun)ha fornito una logistica perfetta portando sulla «piazza dei martiri», un’enorme spiazzo tra la città e il porto dove sorge il mausoleo di Rafiq Hariri – l’ex premier ucciso in un attentato nel febbraio del 2005 – tende, autobotti, bagni chimici, pasti caldi e provvedendo ad un inflessibile servizio d’ordine incaricato sia di cancellare qualsiasi bandiera o slogan di partito o confessionale, sia di evitare attentati, perquisendo ogni singolo partecipante, sia di tenere a freno i più giovani ed esasperati dimostranti – in migliaia hanno perso la casa durante la guerra di agosto e sono ormai senza lavoro – affinché non cadano nelle provocazioni delle nuove Forze di sicurezza interna (Isf) fedeli al premier sunnita, Fouad Siniora, addestrate ed armate di tutto punto dalla Fbi e dai consiglieri Usa. Le stesse che lo scorso ottobre aprirono il fuoco alla periferia sud di Beirut contro alcune centinaia di abusivi uccidendo due ragazzi. Di fronte ad una forte presenza sciita tra le fila dell’esercito libanese e di ufficiali cristiano maroniti «patriottici» fedeli al presidente Lahoud o al loro antico comandante, il generale Michel Aoun, tra gli alti gradi, da oltre un anno i paesi occidentali, Usa e Francia in particolare, hanno investito massicciamente in questa nuova forza di sicurezza «sunnita» di oltre 24.000 uomini dotati di armi sofisticatissime. Con il rischio, ulteriormente aumentato dal riarmo di tutte le milizie del paese, a cominciare da quelle dell’ultradestra falangista di Geagea da sempre sponsorizzata dai servizi israeliani, di far precipitare il paese in una spirale di tipo iracheno. Un elemento questo che sta li a confermare come la disgregazione confessionale dell’Iraq ieri, oggi in Libano e domani in Siria non siano affatto «un incidente» ma il vero obiettivo della politica americana in medioriente. Le nuove Forze di sicurezza Interne, con le loro divise azzurre e i loro automezzi nuovi di zecca forniti dai paesi sunniti del Golfo, hanno poi al loro interno un nucleo centrale di commandos, chiamato «Le Pantere», di circa 350 uomini e dispongono di un loro servizio segreto creato con un primo finanziamento Usa di 30 milioni di dollari.
Il fronte dell’opposizione, da parte sua, ha annunciato ieri la sua determinazione a continuare ad assediare il palazzo del governo sino a quando il premier «Siniora ali Baba» ( in riferimento al saccheggio del paese compiuto in qualità di braccio destro dell’ex premier Rafiq Hariri) non si sarà dimesso. L’opposizione chiede un esecutivo di unità nazionale nel quale la comunità sciita, il movimento del generale Aoun e l’opposizione abbiano un terzo dei seggi in modo da essere garantiti contro ogni possibile colpo di mano del premier e soprattutto contro un nuovo mandato coloniale sul paese da parte di Usa e Francia. Fouad Siniora però, forte del sostegno incassato dagli Usa, dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dalla Germania, dall’Italia -nonché dall’Arabia Saudita, non mostra però alcuna disponibilità a dimettersi. In tal modo però puntando solamente su uno screditato premier sunnita i paesi occidentali stanno legando la loro sorte ad un governo di minoranza contro il quale si stanno saldando le altre due comunità sottorappresentate a livello istituzionale -quella cristiana e, soprattutto, quella sciita – e tutti quei settori sunniti «nazionali» contrari alla svendita del paese al nuovo asse americano-francese. Quindi stanno puntando ancora una volta sul caos. Secondo voci non confermate l’opposizione avrebbe dato tempo a Siniora fino a questa sera prima di estendere la protesta in vista di una campagna di «disobbedienza civile» che bloccherà l’intero paese. Durissima la risposta a questo annuncio da parte del sottosegretario di stato Usa, Nicolas Burns, secondo il quale, in caso di crisi di governo, verrà annullata la Conferenza dei paesi donatori in programma a gennaio a Parigi.