Bassa marea

«Associazione a delinquere». Il reato contestato dai giudici di Milano a un gruppo di medi banchieri e alti bancari ricorda da vicino le invettive di Brecht contro le banche. Senonché quei raider di provincia che solo il 31 maggio scorso sedevano nelle prime file tra i «signori partecipanti» ai quali il Governatore della Banca d’Italia rivolge le sue Considerazioni finali, trascinano nella loro rovina personale e giudiziaria non le proprie fortune (che pare siano al sicuro all’estero) ma diversi vertici istituzionali e politici. Il primo – utile ripeterlo – siede a palazzo Koch e non ha alcuna intenzione di muoversi. La Banca d’Italia, con uno scandalo bancario in pieno corso, non dovrebbe neppure essere sfiorata dal sospetto, invece è invasa dal fango ma il suo governatore non pensa che, quantomeno per salvare quel che resta della reputazione dell’istituto, sarebbe bene fare un passo indietro. Non si muove, sta lì ed è imminente una sua decisione su questioni che fanno parte della materia viva dello scandalo: le acquisizione bancarie, le scalate, nella cui gestione ha finora favorito anche contro il parere dei suoi uffici quei signori accusati di associazione a delinquere.

Il secondo siede a palazzo Chigi e fa il pesce in barile. Ha continuato anche ieri, alla millesima presentazione del libro di Vespa, allargando le braccia e dicendo che il governo non ha fatto niente perché non può fare niente per cacciare il governatore. Il che è istituzionalmente vero ma politicamente falso. Il governo e il governatore, dopo una breve scaramuccia, si sono sostenuti a vicenda per diversi mesi. Il governo – a suo tempo per bocca di Siniscalco – ha imposto in parlamento la posizione della Banca d’Italia sulla legge di riforma del risparmio e non ha mai pubblicamente e politicamente criticato l’operato del governatore, ricevendone in cambio più d’un appoggio alla sgangherata politica economica che ieri ha avuto il suo tripudio nel maxi-emendamento maxi-pasticciato alla legge finanziaria.
Da quando lo scandalo è esploso, vivono con reciproca convenienza da separati in casa, Tremonti è stato richiamato all’Economia a fare la parte del cattivo ma Fazio resta lì a fare la parte che gli pare. Il terzo non è un vertice ma l’intero parlamento. Due anni fa nel mese di dicembre scoppiò lo scandalo Parmalat e sembrò che camera e senato ne fossero investiti, per metter mano a una legge che ristabilisse un po’ di regole in un capitalismo finanziario allo sbando. Due anni dopo, la legge non c’è. La destra ha cavalcato il populismo pro-risparmiatori ma poi si è frantumata tra correnti e opportunismi – la Lega per la banca del nord, Forza Italia per il falso in bilancio, i centristi e i nazional-alleati divisi tra fedelissimi di Fazio e Fiorani e fierissimi oppositori di Fazio e Fiorani. Il centrosinistra ha tenuto le posizioni sulla legge sul risparmio, ma poi si è diviso sulla materia calda delle scalate bancarie, le cui problematiche erano visibilissime a tutti anche prima che giungessero inchieste e manette. Eppure, nel pieno di scalate finanziate con debiti, rastrellamenti di azioni fatti ad arte per aggirare le leggi sulla tutela degli azionisti, emersione rapida di patrimoni accumulati dal nulla con operazioni immobiliari tutte di carta, il vertice dei Ds ha fatto sapere che a suo avviso tra capitalismo produttivo e capitalismo finanziario non c’è una gran differenza.

Così ancora una volta il mondo politico è nell’angolo, con il fiato sospeso ad attendere la prossima mossa dei giudici, sperando di non esserne lambito o di staccarsi in tempo dai finanzieri amici fino a ieri. Eppure questa non è «una nuova Tangentopoli».

Non ci sono (per ora) tangenti, soldi pagati dalle imprese al politico-amministratore per avere lavori e appalti. C’è qualcosa di diverso e peggiore. Non una commistione tra affari e politica, ma una commistione tra affari e affari, che, nell’assenza della politica (al più omaggiata di qualche cadeau), colpisce il mondo delle banche: cioè il vero potere rimasto in questi tempi di crisi industriale, quelle che hanno in mano i soldi dei risparmiatori e i debiti delle imprese. Scriveva Galbraith che gli scandali del capitalismo sono come gli scogli, si vedono quando la marea è bassa – quando c’è la crisi. La marea è bassa da tempo, eppure quegli scogli molti non li hanno visti prima di andarci a sbattere contro.