Barilla, ultimi giorni di vita per lo stabilimento di Matera

Ultima mano di poker per la Barilla di Matera. Il prossimo incontro, forse l’ultimo, tra azienda e sindacato è stato fissato per lunedì prossimo, ma già nella riunione protrattasi fino alla tarda serata di ieri, alla presenza anche del presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, del sindaco di Matera, Michele Porcari e Carmine Nigro, presidente della Provincia, si è avuta l’impressione di giocarsi le ultime carte per scongiurare la chiusura dello stabilimento, prevista per fine anno. Le procedure di mobilità, già avviate per 113 dipendenti dallo scorso 14 ottobre, aprirebbero in tal modo le porte allo spettro della disoccupazione di massa di un pezzo di economia del territorio. L’azienda non intende fare alcun passo indietro dalla sua decisione di levare le tende dalla città, dopo aver intascato finanziamenti a costo zero, come quelli del 2003 che prevedevano il rinnovo del contratto integrativo ed un piano di consolidamento e sviluppo per tutti i siti produttivi, vale a dire niente tagli occupazionali e investimenti per circa un miliardo di vecchie lire, impegni rimasti sulla carta. La Barilla procede a testa bassa, riproponendo testardamente il suo piano industriale: ricollocazione di 55 lavoratori in altri siti del Sud ed utilizzo di ammortizzatori sociali per gli altri prossimi alla pensione. Le trattative sono di fatto bloccate: «Noi non intendiamo entrare neanche nel merito del piano industriale aziendale – replica Rocco Altezza, Rsu della Cgil – diciamo che la Barilla non può abbandonare la città e non può andare avanti con questo atteggiamento intransigente. Del resto tutte le istituzioni sono pronte ad andare incontro in tutti i sensi alle esigenze dell’azienda». La Regione Basilicata, il Comune e la Provincia di Matera lo hanno ribadito anche ieri sera, a cominciare dalla loro disponibilità a finanziare il trasferimento degli stabilimenti dal centro cittadino alla rete infrastrutturale della zona industriale, fino al sostegno alla logistica. Ma su questo argomento la Barilla si straccia le vesti «ignorando la presenza a soli 18 chilometri del mulino per la semola» precisa Rocco Altezza, che aggiunge: «E’ la stessa direzione ad ammettere che qui il costo del lavoro è il più basso del gruppo, ma si lamenta dei costi di produzione, imballo e trasporto del prodotto. Il problema è che se prima l’azienda si espandeva territorialmente per acquisire altri stabilimenti in crisi e incrementare la competitività, oggi per stare sul mercato deve abbassare i prezzi di vendita e aumentare la produzione in pochi siti per fronteggiare la concorrenza». L’orizzonte della multinazionale della pasta resta insomma quello della razionalizzazione e della riorganizzazione, parole che ieri sera hanno riempito di un sinistro presagio le sale della riunione, e che propongono un lessico che a Matera in questi giorni ha tutto il sapore di una fuga bella e pronta dell’azienda. «Massimizzare le capacità produttive per realizzare gli stessi volumi, ma con meno stabilimenti» sembra la ricetta della Barilla per rispondere alle leggi del mercato. Le proiezioni del sindacato sull’argomento non sono incoraggianti, se pensiamo che l’azienda intende mantenere gli attuali volumi produttivi – vale a dire 1 milione e 260mila di quintali all’anno di pasta – puntando solo sulla capacità degli stabilimenti casertani (qui si produce la pasta Voiello, marchio acquistato dalla Barilla, e il suo segmento alto di mercato) e i suoi 170 lavoratori, dopo essersi sbarazzato di quelli lucani. Una strategia industriale che certo non ripaga un territorio e quello “stabilimento gioiello”, come la stessa azienda definiva fino a qualche tempo fa l’unità di Matera. «I carichi di lavoro aumenteranno a valle del ciclo produttivo – dicono le Rsu di fabbrica – se solo pensiamo che con l’automazione delle linee è possibile passare dagli attuali 30, 35 quintali ad 80 ed anche 90 quintali di pasta all’ora». Ma il territorio non ci sta e il sindacato, Flai in testa, è sul piede di guerra, cercando pure di recuperare l’unità, respingendo i tentativi di alcuni esponenti confederali di accettare la tesi aziendale della crisi. Intanto in fabbrica gli operai aspettano novità e si preparano all’assemblea permanente.