Barenghi e il presidenzialismo di sinistra

Pubblichiamo questa lettera e la risposta data ad essa dall’ex direttore de “il manifesto” Riccardo Barenghi in merito al ruolo delle primarie. Ci sembra piuttosto “inquietante” il finale a cui giunge il compagno Barenghi: di seguito la lettera, la risposta di Barenghi e un commento di Marco Sferini
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Fin dove arriva la logica delle primarie

Caro Barenghi, è da un po’ che guardo con sospetto gli entusiasti delle primarie. Senza inutili giri di parole, vengo al dunque. In Puglia, è stato scelto questo metodo per risolvere una crisi tutta interna ai partiti del centro-sinistra, che ha portato a un risultato lusinghiero, la scelta di un politico capace come Vendola. Ma in Puglia, oltre al Consiglio, si elegge il Presidente della regione, a livello nazionale si elegge il parlamento. Se Bertinotti è pronto a porre una questione di democraticità per la sua candidatura alle primarie, coerentemente dovrebbe spingere per una riforma in senso presidenzialista della nostra Costituzione. Lasciare all’attivismo di pochi, una conta interna, un pesarsi per poter contare, è fuoriluogo e per questo ci sono le elezioni. Le primarie hanno tutt’altro obiettivo, la scelta di un candidato per la presidenza. Ma a che serve votare per un futuro leader , a cui spetterebbe la presidenza del consiglio, quando questo è nominato dal presidente della repubblica? Marco Cocciolo, via e-mail

Non hai ragione solo formalmente (saremmo ancora in una repubblica parlamentare) ma direi anche dal punto di vista della filosofia politica. Le primarie possono piacere o meno, le si può giudicare un grande bagno di democrazia oppure un inutile esercizio ginnico ché tanto già tutto è stato deciso altrove, in ogni caso hanno un evidente spirito personalistico, leaderistico, presidenzialistico e così via. Non ha in effetti molto senso fare le primarie per scegliere il leader della propria coalizione ma poi negare lo stesso meccanismo, la stessa filosofia appunto, per scegliere chi dovrà guidare il paese. Per chi, come me, proviene dalla vecchia scuola politica del nostro paese, non è facile liberarsi da un’idea proporzionalistica della rappresentanza, una politica più collettiva che personale, che presenta un’organizzazione, un insieme di persone, idee e programmi al giudizio degli elettori. Ma la storia va dalla parte opposta ormai, e non da oggi. Possiamo far risalire l’avvio di questa deriva a Bettino Craxi, ma la sua esplosione comincia con la morte della prima repubblica e dei suoi partiti storici, la televisione come mezzo autopropulsivo di se stessa e di chi ci sta dentro, l’avvento di Berlusconi che ne è uno straordinario costruttore e interprete. Non so se sarebbe stato possibile frenare questa spettacolarizzazione della politica, con conseguente esaltazione del personaggio, del leader, forse no. Certamente la sinistra non ci ha provato più di tanto. Anzi, qualcuno l’ha anche praticata e teorizzata (D’Alema), qualcun altro, pur combattendola, è stato capace di infilarcisi dentro e usarla per i suoi obiettivi politici e di immagine (Bertinotti). Fatto sta che ci siamo immersi fino al collo in questa dimensione, tanto che anche alle elezioni ufficiali, comunali, regionali, politiche, votiamo sempre di più per l’uomo (o la donna) e sempre meno il progetto che quell’uomo (o donna) rappresenta. E’ vero che l’uomo (o la donna) ormai incarnano un’idea, e quindi se voti Prodi più o meno sai per cosa voti, così Berlusconi, così Bertinotti. Ma l’accento va prima sulla persona e poi, parecchio poi, sul resto. Le nostre primarie sono perfettamente in linea con tutto questo, e Prodi le vuole proprio perché ottenere un legittimazione popolare mirata su di sé gli darebbe una forza che nessun altro gli potrebbe dare. Ma se è così, e mi pare che così sia, tanto varrebbe che tutto il centrosinistra fosse coerente con se stesso e proponesse l’elezione diretta del presidente del consiglio e magari anche del presidente della repubblica, che potrebbe alla fine addirittura essere la stessa persona e la stessa carica istituzionale. In America non fanno così?
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Barenghi e il presidenzialismo di sinistra

Che cosa significa realmente affermare che il Centrosinistra potrebbe aprire la strada ad un presidenzialismo americaneggiante in Italia, con capo del governo e Presidente della Repubblica eletti direttamente dal popolo?
Può significare che la strada intrapresa con l’esaltazione del primato delle primarie sui vecchi metodi di scelta dei candidati sta aprendo il viatico verso una simile impostazione politica da parte della GAD?
Può essere così, almeno leggendo la risposta che Riccardo Barenghi dà ad un lettore del manifesto circa il valore politico e rappresentativo delle primarie.
L’ossatura democratica delle elezioni primarie è l’argomento che viene usato per mostrare come questo nuovo metodo di scelta dei candidati sia il più vicino ai voleri della gente che così riesce a sopperire a quel vuoto di obiettività nel valutare la simbiosi tra uomini e donne della politica e il territorio a cui appartengono. Non c’è, si dice, maggiore espletazione della democrazia sociale e partecipativa se non chiedendo direttamente al proprio popolo elettorale chi voglia come duellante nell’agone politico.
Se questa interpretazione esercita un qual certo fascino in tanti compagni e amici del centro e della sinistra, è pur vero che le primarie sono anche l’ulteriore sottolineatura della singolarità della politica incarnata solamente nella rappresentanza nominale e archiviano in modo definitivo la voglia di una ricerca non solo ideologica in un partito o in un movimento, ma abbattono il ruolo sociale della rappresentanza.
Nichi Vendola ha vinto le primarie e ha indubbiamente affermato ciò che di positivo vi è in questa democrazia dal basso, evidenziando il suo ruolo attivo con la propria terra, con la propria gente e con le sue problematiche quotidiane.
Ma l’esperienza di Vendola non garantisce a noi tutti che le primarie assumano in sé esclusivamente questo ruolo che ha permesso l’affermazione dei valori della sinistra di alternativa rispetto al settore moderato della GAD.
Sul piano nazionale lo svolgimento delle primarie esercitato esclusivamente per ribadire un principio di democrazia interna alla coalizione è fine a sé stesso e finirebbe per ridursi ad una sterile conta delle proporzioni delle singole aree del centrosinistra.
Che Barenghi affermi, nella conclusione della sua risposta, che le forze democratiche di questo Paese possano assumersi la responsabilità della trasformazione di una Repubblica parlamentare in una Repubblica presidenziale all’americana, è la conseguenza dell’esasperazione del valore timidamente positivo delle elezioni primarie. A considerare troppo la singola persona si perde di vista il molteplice, il collettivo e si finisce per cadere in una deriva tipicamente da sempre condotta avanti dalla destra della peggior matrice culturale votata all’autoritarismo ed erede dei più bui anni trascorsi dall’Italia nel secolo scorso.
Fa veramente specie che il compagno Barenghi, che per anni è stato direttore dello storico “quotidiano comunista” e che, ad oggi, ne è autorevole commentatore e pungente umorista politico con il suo pseudonimo di “jena”, si ponga sul terreno del presidenzialismo dalla vena tendenzialmente autoritaria, all’ombra di tentazioni neoconservatrici che sono proprietà della moderna destra di governo o del neocentrismo anche democratico e centrosinistrorso.
Speriamo di poter presto leggere dalle colonne de “il manifesto” non tanto un ripensamento di quanto Barenghi ha esposto, ma semmai una spiegazione esaustiva in merito.