Banca europea contro i salari. La Ces: timori infondati

I timori della Bce di un aumento delle retribuzioni superiori alle previsioni sono totalmente infondati: questo il contenuto, ben argomentato, di uno studio recentemente pubblicato dalla CES (Confederazione Europea dei Sindacati), sulla formazione dei salari nella zona dell’euro. La Ces sottolinea che, al contrario, sarebbe un ulteriore rapido aumento dei tassi d’interesse, in presenza di incrementi retributivi minori del previsto, a minacciare la crescita.
Coerentemente con una gestione restrittiva di politica monetaria, ancora una volta, lo scorso 6 ottobre la Banca Centrale Europea ha deciso il rialzo dei tassi di interesse, portandoli al 3,25%, il livello più alto degli ultimi cinque anni. Ma non basta: sembra che ulteriori rialzi si profilino all’orizzonte, come si desume dalle dichiarazioni del presidente dell’istituto di Francoforte, Jean Claude Trichet, secondo il quale “i tassi di riferimento rimangono su livelli bassi e la politica monetaria continua ad essere accomodante”. A giustificazione di quest’orientamento, l’istituto di Francoforte richiama il rischio di rialzo per la stabilità dei prezzi e di ribasso di crescita economica, connessi al rincaro del greggio, timori di maggiori pressioni protezionistiche e disordini che potrebbero derivare dagli sviluppi mondiali. In questo contesto, l’aumento dei tassi costituirebbe “un presupposto affinché la politica monetaria continui a contribuire a una crescita economica sostenibile e alla creazione di posti di lavoro nell’area euro”. Il corollario è che i salari sembrano essere l’elemento chiave in questa minaccia all’inflazione, poiché quel che ne consegue è una vera e propria stretta sulle retribuzioni e sul potere d’acquisto dei salariati.

Nelle zone dell’euro, l’aumento medio dei costi salariali, incluse le contribuzioni, è stato del 2,4% durante il 2004 e 2005, mentre le retribuzioni sono aumentate del 2,2-2,3%, andamento confermato nei primi due trimestri del 2006. Strano quindi come si possa parlare di un’accelerazione negli incrementi salariali all’inizio del 2006. Va tra l’altro evidenziato che la maggior parte dei contratti collettivi sono già stati conclusi e che gli incrementi concordati nel 2006 saranno gli stessi durante il 2007. Con queste percentuali, si è lontani anni luce dal limite massimo in termini di aumento inflazionistico stimato tra il 3,5 ed il 4,5%. Inoltre, la cosiddetta curva di Phillips, che indicherebbe la relazione tra disoccupazione e inflazione, è nella zone euro ad un punto morto. L’esperienza dell’ultimo decennio dimostra anzi che, nonostante una diminuzione costante della disoccupazione, i salari sono fermi. Il Fondo Monetario Internazionale stima che con un aumento della crescita dell’1%, determinata dalla domanda interna, gli aumenti retributivi si limiteranno allo 0,2%. Di conseguenza, il limite di crescita inflazionistica è ben lontano. Se poi i salari accelerano meno di quel che la BCE prevede nel momento preciso in cui il sostegno monetario per il rilancio è sostanzialmente ridotto, l’espansione attuale potrebbe di nuovo essere di breve durata. Basti pensare all’esperienza italiana, dove queste politiche restrittive sono state praticate: i dati ufficiali dell’OCSE mostrano che negli anni 2001-2005 la crescita media delle retribuzioni è stata dello 0,4%, a fronte di una dinamica media della produttività di -0,3%!

Il sindacato europeo dimostra che i timori della Bce vanno bene al di là degli aumenti retributivi: sono delle chiare esagerazioni, poiché l’inflazione non è certo dietro l’angolo. Evidenzia, inoltre, un altro pericolo che viene sottovalutato in questa discussione e, cioè, che la crescita continui ad un ritmo ragionevolmente alto, considerando che negli ultimi anni i consumi delle famiglie sono stati sostenuti dai margini finanziari derivanti dai minori interessi sui mutui. Questo meccanismo si sta inceppando, perché gli interessi a lungo termine stanno aumentando. E, se la Bce continuerà ad aumentare i tassi a breve, seguirà un incremento di quelli a lungo termine. Tutto questo potrebbe non essere un problema se vi fosse un reale aumento contributivo, di pari passo con la creazione di qualificati posti di lavoro. Ma la prospettiva non sembra essere quella di un rilevante aumento delle retribuzioni. Il pericolo è, quindi, che la Bce, facendo leva su irrealistici sviluppi salariali, crei un aggravamento di già difficili situazioni economiche nelle famiglie dei lavoratori europei. Se così fosse, questo comporterebbe un ulteriore affaticamento della fase economica del prossimo futuro.

E ci sono già autorevoli istituti, quali ad esempio l’Ocde, che fanno previsioni in tal senso.

La Banca, responsabile della gestione della politica monetaria nella zona dell’euro, dovrebbe rivedere il suo modo di funzionamento, attuando una politica di tassi di interesse minori, laddove i crediti sono destinati alla creazione di posti di lavoro, e maggiori, quando si tratta di operazioni speculative.

La Ces non ha dubbi: il livello dei salari ed un loro aumento non possono avere effetti inflazionistici. Al contrario, la BCE deve porre fine al rialzo degli interessi al più presto, nell’interesse dei lavoratori europei.