Prime dichiarazioni del nuovo presidente kirghizo, forte dell’89% dei voti ricevuto domenica
Come era previsto la vittoria del presidente a intermim Kurmanbek Bakiev, nelle elezioni di domenica in Kirghizistan, è stata netta e anche più ampia di quanto ci si aspettasse. Se non altro visto che non c’è stato quel massiccio voto di protesta che era una delle incognite, più che l’esito stesso del voto, che gravavano sull’appuntamento elettorale. La percentuale dei votanti si è aggirata intorno al 70% e l’accoppiata fra Bakiev e quello che si profilava come il suo più serio avversario prima di trovare un accordo pre-elettorale, il generale ex-Kgb ed ex primo ministro Felix Kulov, ha toccato l’89% dei voti. Oltre tutto le elezioni sembra si siano svolte con una certa regolarità e senza incidenti. Un comunicato degli osservatori dell’Osce, le ha qualificate fra «buone» e «molto buone». Nonostante il voto a valanga Bakiev ha commentato che «per la prima volta negli ultimi anni le elezioni sono state vere elezioni».
Incamerata la vistosa vittoria, ha destato una certa sorpresa il fatto che nella prima conferenza stampa, il presidente confermato abbia centrato le sue parole sulla necessità che le basi americane in Kirghizistan tolgano le tende entro un tempo determinato e non lontano. Gli americani hanno impiantato una base vicino alla capitale dal 2001, ufficialmente per appoggiare le operazioni militari nel vicino Afghanistan. Ma «in Afghanistan ci sono state elezioni presidenziali e parlamentari. La situazione nel paese si è stabilizzata – ha detto Bakiev con un eccesso di ottimismo che contrasta con i fatti -. Così adesso noi possiamo cominciare a discutere la necessità della presenza delle forze militari Usa» in Kirghizistan. E non solo in Khighizistan ma anche nelle altre repubbliche centro-asiatiche della ex Unione sovietica. Le parole di Bakiev hanno colto di sorpresa e sono l’eco evidente del recente appello, inusualmente secco, da parte dello Sco, l’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione che raggruppa la Cina, la Russia e le repubbliche dell’Asia centrale. Quell’appello chiedeva appunto che gli Stati uniti fissino una data per ritirare le loro basi dal Khirghizistan e dall’Uzbekistan e recavano il segno dell’impazienza di Cina e Russia per la crescente presenza americana nella regione.
Ma le basi Usa non sono il solo problema che si troverà ad affrontare Bakiev ora che è stato impalmato alla presidenza con l’avvallo popolare. Entrato in scena come presidente ad interim dopo la rivolta che in marzo ha costretto alle dimissioni il satrapo Askar Akayev, ora in esilio con il suo clan, Bakiev ha impostato la sua campagna elettorale nella lotta alla corruzione. Il generale Kulov, che in base al patto pre-elettorale che ha portato al ritiro della sua candidatura presidenziale dovrebbe diventare primo ministro, era finito in carcere per corruzione.
Poi ci sono i problemi legati al sud del paese che è il cuore islamico del Kirghizistan e dove pare che il fondamentalismo attecchisca rapidamente e sia pronto a esplodere. Proprio nel sud è cominciato il moto di protesta che in marzo ha portato alla cacciata di Akayev. La lotta alla corruzione e la politica verso il sud saranno rese ancor più difficili dal fatto che la situazione economica è precaria e il paese è quasi al limite della bancarotta.
Altri dubbi riguardano la tenuta dell’accordo fra Bakiev e Kulov, che a molti è sembrata un’alleanza prevalentemente tattica e destinata a durare poco.