Nel carcere Usa a Kabul violenze e torture, rivela l’indagine militare
Mancano solo le foto. Per il resto, l’indagine interna condotta dall’esercito degli Stati uniti sul trattamento dei detenuti nella base di Bagram, in Afghanistan, descrive un orrore molto vicino a quello del carcere iracheno di Abu Ghraib – con torture, pestaggi sistematici, e con un sovrappiù di crudeltà difficile da spiegare. Non è la prima volta che trapelano notizie di violenze e abusi nel Bagram Collection Point, il «centro di raccolta» istituito dalle forze Usa presso la capitale afghana. Quello pubblicato ieri dal New York Times però è il racconto finora più esauriente (e impressionante). E’ basato sulle 2.000 pagine di un’indagine interna dell’esercito americano, che il quotidiano newyorkese ha ottenuto «da una persona coinvolta nelle indagini». L’indagine stessa nasce da due casi del dicembre 2002: la morte di due detenuti, a pochi giorni di distanza, nelle rispettive celle d’isolamento. Dilawar, un ragazzo esile di 22 anni che faceva il tassista, e Habibullah, fratello di un Taleban.
I decessi erano stati archiviati come «accidentali», ma poi il NY Times era riuscito a far dire ai medici militari che c’erano dei traumi. L’esercito aveva così aperto un’indagine, che è avanzata con lentezza esasperante ma infine, nell’ottobre del 2004, ha portato a incriminare 27 militari (dei quali finora solo 7 si sono visti notificare l’accusa). Era risultato che i due sono stati ammazzati di botte, con un’agonia prolungata, tra giornate intere appesi per le braccia al soffitto e pestaggi ripetuti.
A lungo i comandi americani hanno insistito che si trattava di caso isolato e che altrimenti il trattamento dei detenuti a Bagram era più che accettabile. Il punto è che l’indagine interna aperta da quelle due morti ha rivelato molto di più. Le testimonianze raccolte dicono che «trattamenti così duri da parte di alcuni interrogatori erano routine», e che le guardie potevano contare di fatto sull’impunità, riferisce il Nyt. Era normale incatenare detenuti al soffitto per i polsi, picchiare, umiliare – il Nyt non risparmia dettagli.
Particolare crudele: gli addetti agli interrogatori erano convinti che Dilawar fosse innocente, solo era passato con il suo taxi vicino a una base americana: è stato arrestato con i suoi tre passeggeri (poi spediti a Guantanamo: ne sono tornati un anno dopo, mai incriminati, e hanno detto di aver subìto maltrattamenti peggiori a Bagram). Il fatto è che gli interrogatori, scrive il Nyt, erano «soldati giovani e poco addestrati», con regole poco chiare ma un chiarissimo senso di impunità. «A volte i tormenti sembrano essere stati motivati da poco più che noia, o crudeltà, o entrambi».
L’orrore di Bagram ha già suscitato proteste in passato: la Croce rossa, Human Rights Watch. Era noto, ad esempio, che la squadra di interrogatori di Bagram, comandata dalla capitano Carolyn A. Wood, è stata trasferita a Abu Ghraib nel luglio 2003: dove ha proseguito lo stesso lavoro, dice l’inchiesta militare, «con tecniche straordinariamente simili» a quelle usate in Afghanistan.