A decine di migliaia raccolgono l’appello di al Sadr
Una folla impressionante ha gremito ieri le strade del centro di Baghdad – nel secondo anniversario della caduta del regime di Saddam – per reclamare la fine dell’occupazione e il ritiro delle forze anglo-americane, rispondendo all’appello lanciato dal leader sciita radiicale Muqtada al Sadr fatto proprio dagli Imam sunniti nelle preghiere del venerdì. Non si era mai vista una manifestazione di tali dimensioni dai tempi dei raduni di massa orchestrati e pilotati dal regime di Saddam; ma questa volta non c’erano né “piloti” né cartoline precetto, la gente è accorsa spontaneamente dal formicaio umano di Sadr City, alla periferia della capitale, ma anche dalle province e in particolare dalle località del sud a cominciare da Bassora. Una manifestazione di massa, composta e assolutamente inequivocabile per il suo significato. Al Sadr, assente per motivi di sicurezza, ha inviato un messaggio nel quale chiede a Dio di «rompere la testa degli occupanti americani come loro la rompono a noi»; e la folla ha fatto eco alle sue parole. Nelle stesse ore lo sciita moderato Jaafari, primo ministro designato, era alle prese con le consultazioni per la formazione del nuovo governo, in sostituzione di quello fantoccio di Allawi, e le forze delle guerriglia compivano una serie di attacchi in varie parti del paese, da Kut nel sud a Mosul nel nord, nel corso dei quali 30 iracheni sono stti uccisi, inclusi 15 militari a Latifiyah.
Un quadro come si vede che la dice lunga sul clima esistente in Iraq e che dimostra in ogni modo che la stragrande maggioranza degli iracheni rifiuta l’occupazione e si batte, con mezzi e in modi diversi, per il ritiro delle forze americane.
Non solo infatti era chiaro ed inequivocabile il “no” all’occupazione delle decine di migliaia di manifestanti di ieri, ma va anche ricordato che tutte le liste che hanno concorso alle elezioni del 30 gennaio – dalle quali è uscito il parlamento che ha eletto Talabani alla presidente della Repubblica e che dovrà approvare il nuovo governo – avevano nel loro programma il ritiro delle forze straniere. Nel suo messaggio, letto da un suo assistente, Moqtada al Sadr si è espresso in termini assai chiari ed espliciti, rifiutando l’occupazione non solo dal punto di vista militare, ma anche per il suo significato politico e tracciando una distinzione fra resistenza e terrorismo (come del resto aveva sentito due giorni fa di dover fare anche il neo-presidente Talabani, pur esprimendo alle forze Usa una «gratitudine» che la folla di ieri non condivideva affatto). «Con la vostra unità oggi dimostrate al mondo intero che siete contro l’occupazione e contro tutte le dittature – ha detto Al Sadr – e che non ci sarà pace o sicurezza in Iraq prima della fine dell’occupazione. Occorre che gli occupanti lascino il mio paese. Non vogliamo la vostra sicurezza, non vogliamo nulla da voi, né il bene né il male. La nostra unità mette a tacere coloro che ripetono che la fine dell’occupazione porterà alla guerra civile, perché il popolo iracheno è unito». A questo punto Al Sadr ha polemizzato direttamente con il presidente Bush: «Avete detto che l’America è diventata più sicura; forse, ma il resto del mondo è diventato più pericoloso. Perché requisite le armi della resistenza e lasciate che Israele mantenga il suo arsenale nucleare? Perché gli Stati Uniti vogliono forzare la Siria a lasciare il fratello Libano mentre l’aggressore americano resta in Iraq?».
Come si vede Al Sadr ha tracciato un vero e proprio manifesto politico, dal quale discendono le richieste concrete che sono state presentate durante la manifestazione, e precisamente: il rapido avvio di «un processo aperto e trasparente» contro Saddam Hussein (il raduno è partito dalla piazza Firdus dove il 9 aprile di due anni fa fu abbattuta la grande statua del dittatore); il ritiro delle forze di occupazione, non accettando «come pretesto che le nostre forze di sicurezza non sono pronte»; e la liberazione immediata di «tutti i prigionieri iracheni», il cui numero è valutato in 10mila. Al governo che si va formando viene chiesto inoltre di garantire la sicurezza delle frontiere «per impedire l’infiltrazione di terroristi, poiché il popolo iracheno può lottare da solo contro l’occupante» e che «la resistenza non sia contrapposta al processo politico e venga distinta dal terrorismo». Due richieste queste ultime che non picciono certamente agli americani, che hanno interesse a dare la colpa di tutto «ai terroristi», ma che non piacciono ovviamente nemmeno agli uomini di Al Qaeda e di Al Zarqawi; e ciò spiega forse l’agguato nel quale proprio ieri, alle porte di Baghdad, è stato assassinato uno stretto collaboratore di Al Sadr, e cioè il suo vice prappresentante a Karbala Fadel al Choq, falciato da una raffica nella sua auto mentre arrivava nella capitale per la manifestazione. Al raduno di massa comunque hanno partecipato assieme agli sciiti, che erano ovviamente in maggioranza, anche esponenti delle altre comunità; sulla folla sventolava una mare di bandiere nazionali irachene (quella che due anni fa gli americani volevano cambiare) e troneggiavano ritratti di Sadda, di Bush e di Blair con indosso la tuta rossa dei condannati a morte; sia i ritratti che numerose bandiere americane e inglesi sono state date alle fiamme. Per ironia della sorte, appena 24 ore prima George Bush, rientrando dal funerale del papa, aveva detto di avere avuto da Berlusconi l’assicurazione che «finiremo il lavoro insieme». Ogni commento è superfluo.