Bagdache e Diliberto su Maghreb e Mediterraneo Orientale

Ammar Bagdache, Segretario Generale del Partito Comunista siriano, è giunto in questi giorni in Italia ospite del PdCI. Un sincero e fraterno rapporto di amicizia unisce da tempo le due forze politiche e questa visita del Segretario, recentemente eletto alla guida del Partito siriano, cade in un momento di grandi rivolgimenti nella regione del Maghreb e del “Mediterraneo Orientale” (Bagdache ci fa subito notare che non utilizzerà il termine Medio Oriente, poiché coniato dall’imperialismo inglese).

La prima iniziativa politica del suo folto programma di lavoro italiano, Bagdache la tiene a Roma insieme al nostro Segretario Nazionale Oliviero Diliberto.

Bagdache mette subito in chiaro che i media occidentali che paventano la presa del poterne da parte delle organizzazioni islamiche nella regione agitano un pericolo in modo strumentale: il fondamentalismo islamico è diverso da paese a paese e non esiste un fronte unico per l’alternativa islamica. Sembra di sentire Samir Amin che in questi giorni, parlando della Tunisia, ha detto che i movimenti islamici non sono riusciti ad entrare nelle rivolte che hanno cacciato Ben Alì, ma che adesso le potenze occidentali proveranno a creare ed appoggiare un’alternativa islamica al fine di evitare un’alternativa veramente democratica. Anche perché, come ricorda Diliberto, gli Usa propongono le elezioni solo se sono certi che a vincerle saranno forze a loro amiche. Altrimenti, come a Gaza con Hamas, le elezioni non sono più riconosciute se a vincerle sono i nemici degli Usa o di Israele.

Bagdache connette, poi, la presenza delle organizzazioni islamiche con la debolezza dei partiti comunisti affermando che laddove, come in Algeria e in Egitto, i comunisti sono stati estromessi e marginalizzati sono emersi movimenti islamici estremisti. Diliberto, condividendo tale analisi, la sostanzia dicendo che se in quei paesi cade la prospettiva di emancipazione nella vita terrena rappresentata dal comunismo, è quasi naturale che la ricerca del riscatto si sposti sul piano della ricompensa ultraterrena che apre le porte al fondamentalismo religioso. Diliberto avverte che ciò è avvenuto a partire dalla caduta dell’Unione Sovietica, anche se riconosce che in alcuni casi, come quello dell’Egitto, v’erano già stati fenomeni di involuzione delle esperienze emerse dalla decolonizzazione.

Bagdache fa notare come le rivolte in Egitto e in Tunisia riescano a connettere le lotte per la liberazione dai regimi oppressivi con la lotta di classe contro la fame, la povertà e la disoccupazione: nell’unione di queste due rivendicazioni il movimento trae la sua forza.

Bagdache saluta, dunque, positivamente le rivolte in Maghreb, ma non azzarda previsioni sugli esiti finali. Ci ricorda che l’imperialismo e il sionismo si sono prontamente messi all’opera per cercare di evitare che nella regione possano accadere rivolgimenti tali da mettere in discussione il ruolo egemone degli Usa e di Israele. E ci ricorda che ci sono due teorie imperialiste che riguardano i paesi arabi. Una è quella di Zbigniew Brzezinsky dell’arco della tensione: la vasta area che va dall’Afghanistan al Mediterraneo è d’importanza vitale per il controllo geopolitico globale, ma è percorsa da profonde tensioni. Per eliminarle occorre dividere gli stati in unità più piccole e incapaci di rappresentare una minaccia. Diliberto dirà poi che questa teoria che punta a colpire gli Stati nazione va disvelata e contrastata e, dunque, non bisogna farsi prendere da entusiasmi fuori luogo quando, come nel caso del Sud Sudan, l’occidente esulta per casi di Stati che vengono smembrati.

L’altra teoria è quella di Shimon Peres del “grande medio oriente”. Bagdache ci ricorda che sotto la maschera di uomo della sinistra che viene indossata da Peres, si cela in realtà uno dei sionisti più aggressivi e determinati.

Netanyahu è contrario a tale teoria, essendo convinto che Israele è e deve essere forte da sola. I neoconservatori americani la pensano allo stesso modo. La generazione dei nuovi sionisti statunitensi, quelli che appoggiano Obama, la pensano, invece, come Peres: fare un grande medio oriente controllato da Israele e dagli Usa. In queste contraddizioni interne all’imperialismo si calano i movimenti di rivolta odierni.

Bagdache aggiunge che Iraq e Libano hanno inferto due durissimi colpi a questi progetti (ed afferma che Nasrallah, il capo di Hezbollah, è il “Garibaldi del mondo arabo”). Oggi Tunisia ed Egitto faranno altrettanto. Erano due paesi alleati degli Usa e di Israele e liberisti in economia: rischiano di uscire dalle rivolte con governi che perseguiranno politiche estere diametralmente opposte. Indipendentemente dagli sbocchi delle intifade in Egitto e in Tunisia questo ruolo di rottura l’hanno già avuto colpendo i disegni dell’imperialismo. In questo contesto il Partito Comunista Siriano, realtà viva e di governo nel suo paese, propone la creazione di fronte unitario mondiale contro l’imperialismo.

Dopo una puntuale disamina del contesto internazionale, Diliberto svolge un’analisi della funzione dell’Italia nel mondo, affermando che il nostro paese, che ha perso qualsiasi ruolo internazionale, è ad un bivio: scivolare verso il fondo dell’Europa del Sud che rischia di essere strangolata dalla crisi ed uscire dall’Euro, oppure decidere di collocarsi politicamente come attore centrale del Mediterraneo, tornando ad essere crocevia tra l’Europa e il mondo arabo.

È evidente che il PdCI sostiene questa seconda ipotesi tanto che Diliberto, a conclusione dell’iniziativa, ha proposto di organizzare un incontro con i partiti comunisti del Mediterraneo per discutere ed approfondire tali questioni.