Aumenta la precarietà, cresce il rischio di incidenti sul lavoro

In una Italia dove cresce il lavoro precario, aumentano i rischi di infortuni per le categorie sindacalmente più deboli. Perché chi ha un contratto a termine è più preoccupato dell’eventualità di perdere il lavoro che del rispetto della sicurezza ed è, di conseguenza, portato a sottovalutare i pericoli per la propria salute. A mettere in evidenza questo fenomeno è una ricerca presentata ieri a Roma da Ires e Inca Cgil con cui, per la prima volta in Europa, si mettono in relazione le percezioni dei rischi da parte dei lavoratori con le variabili strutturali e organizzative del contesto aziendale, con il sistema di tutela e diritti, con l’informazione e con la rappresentanza sindacale.
Uno dei dati più significativi emersi dallo studio – condotto tramite la somministrazione di un questionario ad un campione di 800 lavoratori, tipici e atipici, intervistati direttamente sul posto di lavoro – è che il 30,1% degli assunti con contratto atipico dichiara la totale assenza di fattori di rischio nei luoghi di lavoro, contro il 16,9% dei lavoratori a tempo indeterminato. Questo, nonostante siano proprio i precari ad essere spesso più esposti al pericolo di contrarre una malattia professionale o un infortunio.

La percezione del rischio evidenziata dalla ricerca, va messa in relazione con «le 5 fragilità del contesto italiano» che, secondo Ires e Inca, rappresentano i punti di debolezza del sistema lavorativo nel suo complesso. Il tasso di infortuni è più del doppio per le imprese con meno di 15 dipendenti rispetto a quelle con più di 250: 113 infortuni ogni mille dipendenti contro 67 (Istat, Inail, 2001). A conferma che «dove c’è meno sindacato c’è più rischio». In Italia nel 2004 al di sotto dei 34 anni hanno subito un infortunio 53 lavoratori ogni mille, contro i 38 ogni mille per chi ha più di 35 anni, media che scende a 32 per gli over 64. Che quella dei giovani sia una categoria particolarmente esposta, lo si capisce anche dalle statistiche dell’Unione Europea, dalle quali risulta che chi ha tra i 18 e i 25 anni corre, in media, il 50% in più di rischio di rimanere vittima di un incidente sul lavoro, rispetto alle altre fasce d’età. In particolare, l’Italia è il quarto stato in UE come numero di incidenti nella fascia di età tra i 18 e i 34 anni (Eurostat, 2002, UE 15 Stati).

Altro elemento di debolezza sono le donne: nel 2005 si registra un aumento complessivo di infortuni per le lavoratrici dello 0,5% rispetto al 2004 (+1235 infortuni), in controtendenza rispetto al calo generale del 2,8% (Inail, 2005). Ci sono 70 infortuni ogni mille lavoratori immigrati, contro 50 ogni mille per i lavoratori nel complesso (Inail, 2005). Ultimo punto da evidenziare è la crescita costante (+30% nel 2005 rispetto al 2002) degli infortuni ai lavoratori temporanei (interinali) e ai collaboratori (parasubordinati).

Questo dato risulta particolarmente preoccupante alla luce dell’ulteriore aumento dell’occupazione precaria segnalato ieri dall’Istat. Delle 374mila unità in più al lavoro registrate nei primi tre mesi dell’anno, 224mila (i tre quinti) sono stranieri regolarizzati. La maggior parte della crescita, spiega ancora l’Istat, riguarda i lavori a termine con 211mila posti (+11,1%) a fronte di 191mila assunzioni con contratto a tempo indeterminato (+1,3%). E l’aumento della precarietà interessa in particolare le donne (+15,4%) e i giovani (+21,3%). Lo stress legato all’incertezza del posto di lavoro può avere effetti ancora più traumatici tra chi è in età avanzata. Da una maxi-indagine fatta da ricercatori americani, che ha coinvolto oltre 12500 persone la cui salute è stata monitorata per 10 anni, si è visto che il pericolo di un ictus e di un infarto raddoppia in chi ha dovuto lasciare il lavoro dopo i 50 anni.

Altro dato importante individuato dalla ricerca Ires-Cgil è che «il fattore contrattuale risulta determinante nella percezione dei rischi». A parità di condizioni, «un lavoratore manuale con contratto atipico percepisce in misura inferiore a un suo collega con contratto a tempo indeterminato i rischi a cui è sottoposto. Il 25, 2% dei lavoratori “manuali” atipici non percepisce rischi lavorativi contro il 15, 4% dei “manuali” a tempo indeterminato». Da questo quadro, «appare chiaro – dichiara il presidente dell’Ires, Agostino Megale – come adeguate politiche di prevenzione e tutela debbano fare perno sulla formazione e sull’informazione dei rischi del lavoro, che spesso la condizione occupazionale non consente di percepire».