Aumenta il lavoro precario.

Segna il passo il mercato del lavoro in Italia.
Ormai lontani anni luce dalle performance stellari promesse dal ministro del Welfare Maroni e dal suo sottosegretario Sacconi «grazie alla legge Biagi», gli indici che misurano rispettivamente l’occupazione, la disoccupazione e il tasso di attività in Italia segnano per il 2004 un anno «non soddisfacente». Anche se i posti di lavoro sono cresciuti e i disoccupati sono diminuiti, i 163 mila occupati in più sono il saldo più basso dal 1998, mentre gli 88 mila disoccupati in meno rappresentano un dato inferiore alla media 1998-2003. Sono calati, di conseguenza, sia il tasso di disoccupazione sia quello di occupazione, un indicatore che saliva ininterrottamente dal 1995. La fotografia, scattata dal Rapporto annuale del Cnel sul mercato del lavoro italiano presentato ieri a Roma, parla del lavoro precario che avanza e del lavoro buono che arretra. Nel complesso, uno scenario che può essere descritto come quello di un’occupazione che va «avanti adagio». La cosiddetta “flessibilità in entrata”, quindi, non è servita a far decollare l’occupazione stabile, come è stato sempre ripetuto. Ad ammetterlo, tra le righe, è lo stesso cnel. Il confronto fra i consuntivi 2003 e 2004 mostra che la quota di imprese con impieghi flessibili è rimasta praticamente ferma dal 43,1% al 44,5%. In generale, quindi, spiega il Cnel, «la flessibilità del lavoro non si è estesa bensì approfondita: chi già utilizzava impieghi flessibili ne ha fatto maggior uso». L’occupazione, per quel poco che cammina, avanza grazie alla regolarizzazione dei migranti e alla trasformazione dei contratti. In compenso esplode il part-time, un altro segno inequivocabile della tendenza al lavoro nero in Italia.
Nel 2004, risultano entrate nel mercato del lavoro appena 76 mila persone e uscite ben 48 mila. Quelle attive sono, quindi, aumentate meno della popolazione tra i 15 e i 64 anni e ciò ha fatto diminuire anche il tasso di attività. ‘Per il Cnel si tratta di «un evento del tutto insolito»: nel 2004 tutti e tre i principali indicatori sul mercato del lavoro portano il segno negativo. Gli occupati, nel 2004, sono 24 milioni e 404 mila, con un aumento complessivo pari a 164 mila unità (0,7%). Il tasso di occupazione è sceso dal 57,5% al 57,4%, contro una media europea pari al 64,3%. I disoccupati sono diminuiti di 88 mila unità, portandosi a un milione e 960 mila, per la prima volta dagli anni ’80. Il tasso di disoccupazione è, infatti, sceso dall’8,4% all’8%. Le donne occupate, giunte a 8 milioni e 783 mila, sono aumentate in media più degli uomini, che hanno raggiunto la cifra di 13 milioni e 622 mila unità. Gli occupati sono aumentati sensibilmente nelle regioni del Centro (2,5%), mentre in quelle del Nord si sono mossi in linea con la media nazionale (0,7%) e nel Mezzogiorno sono lievemente diminuiti (-0,4%). Distinguendo per settore, i posti sono aumentati del 5,2% nelle costruzioni, del 2,4% nell’agricoltura, di appena lo 0,6% nei servizi. Questi ultimi dati sono la riconferma che a dare il maggior contributo all’incremento dell’occupazione sono stati proprio i migranti che offrono le loro braccia nella stragrande maggioranza proprio nell’edilizia e nell’agricoltura. Nell’industria, invece, sono diminuiti dello 0,9%. Per quanto riguarda il grande tema della flessibilità c’è da notare che la quota degli impieghi a tempo indeterminato scende al 49,9%. Il dato è inferiore di quasi 10 punti rispetto alle previsioni del 2004, quando gli impieghi a tempo indeterminato erano il 58,4%. I contratti a tempo determinato salgono dal 29,2% al 37,9% del totale. Aumenta parallelamente, come si è detto, l’uso del part time. Mentre a fine 2003 soltanto il 13,2% delle imprese prevedeva di farvi ricorso, a fine 2004 l’aveva utilizzato il 24,3%, vale a dire quasi il doppio. I dati settoriali mostrano incrementi significativi nel triennio 2003-2005: mentre la maggiore consistenza rimane nei servizi, la maggiore dinamica si ha nell’industria. Qui, la quota di assunzioni a tempo parziale è salita, infatti, dal 2,3% del 2003 al 3,5% del 2004, fino al 4,5% del 2005, quasi raddoppiando. Nei servizi la quota è passata dal 17,6% del 2004 al 22,5 % del 2005.