Attacco Nato, rischio fuga verso il settore italiano

Una progressiva escalation di attentati terroristici e incursioni di miliziani. Il settore occidentale dell’Afghanistan posto sotto il comando italiano (Regional Command West) è diventato negli ultimi mesi sempre più caldo subendo le infiltrazioni dei talebani provenienti dalla provincia di Hellmand.
Delle quattro province controllate dal generale Antonio Satta, Farah è senza dubbio quella più turbolenta. Dall’autunno scorso i talebani e le milizie legate ai produttori di oppio hanno moltiplicato gli attacchi lungo la strada che conduce a sud conquistando in due occasioni la città di Bakwa e attaccando le stazioni di polizia. A Herat sono in aumento le azioni terroristiche anche nei pressi della base italiana (l’ultima, il 3 marzo, ha ucciso due civili) e lungo le strade utilizzate dalle truppe alleate come la mina che il 21 febbraio ha ucciso una soldatessa spagnola.
Farah è presidiata da un numero esiguo di forze americane e da un battaglione governativo afgano e il comando italiano in più occasioni vi ha dispiegato gli incursori e la forza di reazione rapida italo-spagnola basata all’aeroporto di Herat e in grado di intervenire rapidamente in tutto il settore ovest grazie a tre elicotteri italiani CH 47 e sei spagnoli Couguar.
Nell’ovest afghano sono schierati poco meno della metà dei 2.000 soldati italiani presenti in Afghanistan (gli altri sono a Kabul) mentre sommando agli italiani le forze americane, spagnole e lituane nell’intero settore, grande come il nord Italia, sono presenti meno di 2.000 militari alleati. Il problema della carenza di truppe è reso più acuto dall’incremento dell’attività nemica e dalla rinuncia del governo italiano a inviare rinforzi, se si escludono un aereo cargo e due velivoli teleguidati da osservazione Predator peraltro non ancora arrivati a Herat.
Una posizione che sembrava condivisa anche dalla Spagna che però dopo l’attentato del 21 febbraio sembra intenzionata a potenziare il contingente di 700 militari schierato tra l’aeroporto di Herat e la provincia di Badghis. Madrid ha già disposto l’invio di blindati pesanti Bmr e potrebbe inviare 3-400 soldati e qualche mortaio, forze con le quali supererebbe per consistenza numerica gli italiani.
Del resto proprio l’intelligence spagnolo ha previsto pesanti offensive talebane nelle province occidentali che sono le più sguarnite dell’intero Afghanistan.
A est e a sud, dove infuriano i combattimenti, sono dislocati quasi 30.000 militari alleati mentre nel nord, dove l’assenza di popolazione di etnia pashtun rende quasi inesistente la presenza talebana, vi sono quasi 4mila militari.
Inoltre nel settore italiano non ci sono velivoli da combattimento, artiglieria e mezzi pesanti che invece gli altri alleati hanno schierato in gran numero mentre la carenza di truppe sta producendo un impiego intensivo e improprio delle forze speciali italiane, spesso utilizzate per “turare le falle” in compiti tattici che potrebbero essere espletati da normali reparti di fanteria.
A Herat l’Italia schiera un nutrito reparto di forze speciali (il terzo per consistenza tra le forze alleate) che secondo indiscrezioni ha in più occasioni affiancato le special forces americane e britanniche.
Dalla provincia meridionale di Hellmand, dove in queste ore è in corso l’Operazione “Achille”, l’offensiva condotta da 5.500 britannici e governativi afghani contro 8.000 talebani, potrebbero giungere presto nuovi problemi per il comando italiano. Secondo fonti militari in Afghanistan la pressione delle truppe britanniche potrebbe indurre molti miliziani a cercare scampo più a nord, nella provincia di Farah, meno presidiata dalle forze della Nato.