Offensiva americana lungo l’intera valle dell’Eufrate da Baghdad al confine con la Siria. Pesanti raid aerei contro i quartieri ribelli. L’Associazione degli Ulema e Moqtada al Sadr chiamano per l’unità sunniti-sciiti contro gli occupanti
In un Iraq senza più testimoni scomodi, le forze americane hanno circondato ieri la città di Ramadi, capitale della ribelle provincia di Anbar a 110 chilometri da Baghdad, e lanciato un’offensiva generalizzata contro la città e gli altri centri della regione che lungo la valle dell’Eufrate porta da Baghdad verso il confine siriano. I marines del primo corpo di spedizione, reduci dalla distruzione di Falluja – ridotta ad un cumulo di macerie, senz’acqua, senza elettricità e chiusa al mondo esterno – hanno imposto su Ramadi un coprifuoco dalle otto alle sei del mattino e stanno rastrellando quartiere per quartiere, casa per casa alla ricerca dei membri della resistenza irachena. I comandi americani, in riferimento all’intera area oggetto dell’offensiva, una lunga fascia di territorio sulla riva destra dell’Eufrate, cosparsa di centri abitati, villaggi, palmeti e fitta vegetazione, hanno chiamato l’operazione «River Blitz». L’offensiva riguarderebbe in particolare, olte alla capitale regionale, Ramadi – città ribelle di tribù beduine traformatesi in agricoltori, ufficiali e soldati dei reparti speciali, che osò persino ribellarsi allo stesso Saddam Hussein a metà degli anni novanta – le cittadine di Hit, Baghdadi, e Haditha. Da quest’ultima giungono notizie assai preoccupanti di massicci bombardamenti aerei su alcuni quartieri ribelli della città ma purtroppo nessuno può dirne il tragico bilancio. Obiettivo degli Usa è ormai chiaramente quello, da una parte di escludere la comunità sunnita dal gioco politico finché questa non avrà accettato l’occupazione a stelle e strisce e dall’altra, vista l’assenza di giornalisti e testimoni, radere al suolo le città ribelli con l’uso massiccio dell’arma aerea. Parallelamente la guerriglia irachena è però ricomparsa nella stessa Falluja dove un posto di blocco è stato attaccato ieri da alcune decine di combattenti iracheni che avrebbero dato alle fiamme numerosi automezzi americani. La guerriglia nella zona di Anbar sembra nelle ultime ore decisa a sganciarsi dall’offensiva americana spostandosi in parte verso Mosul, in parte verso i centri minori nel deserto dove gli americani possono intrevenire solamente a bordo degli elicotteri piuttosto vulnerabili ai missili portatili presenti in gran quantità nella zona, in parte nella stessa Baghdad. Qui ieri nel corso della giornata vi sono state almeno otto potenti esplosioni delle quali però, come ormai quasi sempre, si ignora l’effetto. Di sicuro, trattandosi di una zona intensamente popolata, si sa che una mina nascosta lungo una strada nella periferia sud, tra i quartieri di Dora e di Saidiya, avrebbe colpito un blindato Usa mentre un’altro ordigno avrebbe investito i militari americani arrivati in soccorso. Nel corso dell’attacco sarebbero stati uccisi tre marines e altri otto sarebbero stati feriti gravemente. Colpita anche ieri l’intera rete degli oleodotti attorno alla città di Baghdad. In questo campo, hanno ammesso ieri al ministero del petrolio iracheno, non si tratta più di attacchi casuali ma di una vera strategia dell’assedio alla capitale, ormai praticamente isolata, condotta sulla base di una conoscenza perfetta della rete stessa e del suo funzionamento. Nel frattempo mentre alcune decine di capi tribù sunniti si sono riuniti ieri a Baghdad per avviare un dialogo con il governo Allawi, l’associazione degli Ulema Musulmani il massimo organo rappresentantivo di questa comunità, ha ribadito che la partecipazione al processo istituzionale del paese potrà avvenire solo in seguito alla fissazione di una data per il ritiro delle truppe americane e ha duramente condannato gli attacchi alle moschee sciite in occasione della festività dell’ashura dello scorso fine settimana: «Non rimarremo in silenzio di fronte a tali crimini – ha dichiarato ieri uno dei massimi responsabili dell’Associazione lo sheik Harith al-Dhari – che colpiscono il popolo iracheno, sunniti e sciiti, musulmani e non musulmani. Tutti gli iracheni dovrebbero unirsi contro coloro che vogliono dividerci e che seminano l’odio tra di noi». Un chiaro riferimento all’uso strumentale delle differenze etniche e confessionali da parte degli occupanti per combattere la guerriglia ma anche alle azioni dei gruppi vicini ad al Qaida. Gli ha subito fatto eco il leader radicale sciita Moqtada al Sadr il quale ha invitato la sua comunità a non accusare i sunniti per gli attacchi dello scorso fine settimana: «Rendiamoci conto che si tratta di attacchi contro il popolo iracheno e non contro questo o quel gruppo religioso». Al Sadr ha poi rivolto un appello alla lista unitaria sciita uscita vittoriosa dalle elezioni farsa del 30 gennaio perché si impegni a fissare una data per il ritiro delle truppe Usa dall’Iraq. Richiesta che è stata respinta dal vice presidente e potenziale nuovo premier, Ibrahim al Jafaari dell’ala occidentale del partito islamista filo-iraniano al Dawa.