Atesia, ora si svolta

Le cose cambiano, anche nelle battaglie che sembrano disperate. Chi avrebbe mai pensato che quei precari disperati – sebbene in 4.000 – potessero liberarsi dalla morsa di un padrone supportato contemporaneamente da una legislazione ad hoc, un pezzo importante della classe politica edapezzi di sindacatoquantomeno arrendevoli? Scioperi, manifestazioni, articoli di giornale, interventi di amministratori locali… tutto era sempre passato come un acquazzone estivo, lasciando Alberto Tripi assolutamente certo di poter padroneggiare la situazione senza problemi. Se non quelli della pessima immagine. Poi, dai e dai, qualcosa si rompe. La stagione politica cambia – seppur di poco – segno ed ecco che si aprono spiragli meno foschi. Nulla è ancora risolto, sia chiaro.Ma qualcosa si sta spostando. L’ispettorato del lavoro, infatti, sta per concludere le sue indagini sulle reali condizioni lavorative all’interno del call center romano. Ma sarebbe già chiaro che orari e incarichi, nonostante l’enorme libertà consentita alle imprese dalla legge 30, rientrano nella «fattispecie» del lavoro subordinato e non in quelle previste per le numerose forme di «collaborazione » previste dalla normativa. Tecnicamente non sarebbe neppure una novità: già nel 1998 un primo rapporto stabiliva la stessa cosa. Ma unpessimo accordo sindacale fece finta di non saperlo. Di più. All’interno del ministero sarebbe da tempopronta una circolare che definisce illegittimi i «contratti a progetto » applicati ai call center «in bound» (quelli dove si risponde alle chiamate provenienti dagli utenti), come avviene anche in Atesia. In pratica, tutta la vertenza potrebbe prendere una piega diversa. L’accordo firmato l’11 aprile (170 assunzioni part time «in cambio» di ben 1.100 contratti di apprendistato per una parte dei precari che lì lavorano da anni) è semplicemente inapplicabile; anche se l’azienda non dovesse essere costretta ad assumere tutti i precari «di lungo corso», di sicuro unamassa di ricorsi legali potrebbe costringerla a più miti consigli (la frase finora più ripetuta dai dirigenti, di fronte alle proteste, pare sia stata proprio «facci causa»). Atesia ha intanto cominciato a non rinnovare i contratti a 400 persone, costringendo – pare – i pochi «assunti» a firmare unaliberatoria per lependenze pregresse. I ragazzi del Collettivo precari – gli unici che in questi anni si siano impegnati nell’organizzare scioperi e manifestazioni dei lavoratori – sono ancora molto cauti e non gridano vittoria. In grave difficoltà appare invece il sindacato, specie la Cgil che si era platealmente spaccata almomento di siglare l’ultimo accordo: il Nidil non l’aveva firmato e in calce appare la firma di Rosario Strazzullo (del Slc) e della segretaria confederale Nicoletta Rocchi. Inutilmente, qualche giorno fa, il segretario generale dell’Slc, Emilio Miceli, aveva diffidato Atesia dall’applicare quanto previsto d aquel testo. Comeriportato anche nelle pagine della cronaca romana del Corriere della sera (strana scelta, per parlare di una vertenza ormai paradigmatica della condizineprecaria in Italia), Cecilia Taranto -membro della segreteria regionale – ricorda che «l’accordo era stato firmato sul presupposto che i contratti di collaborazione fossero legittimi. Se fosse appurato che le prestazioni degli addetti devono essere inquadrate come lavoro dipendente, è chiaro che va tutto rivisto». Parole lunari: un sindacato non è in grado di decidere se un certo tipo di lavoro è dipendente o meno? Ha bisogno di attendere – dopo anni – un parere dell’ispettorato del lavoro? E che ci sta a fare? Se un’associazione (sia chiaro: una piccola parte di essa) è ridotta così può al massimo svolgere una funzione di supporto per l’ufficio del personale, non il sindacato. Visto però che la vertenza è ancora aperta, i ragazzi di Atesia si riuniranno domani mattina inunpresidio davanti al ministero del lavoro. Pacifici come sempre, ma anche determinati a farsi sentire dal ministro Cesare Damiano, impegnato nel trovare la mediazione.