«E’ un licenziamento politico. Non mi hanno rinnovato il contratto perché faccio parte del Collettivo Precari», afferma Jimmy, uno dei 400 lavoratori a progetto che- in seguito all’accordo firmato dai sindacati confederali lo scorso 11 aprile- non dovranno più recarsi nella loro postazione del call-center Atesia di Roma. I giovani del Collettivo aprono lo striscione davanti alle porte e invitano i pochissimi che chiedono di entrare a partecipare allo sciopero. Molti si convincono; agli altri, invece, basta scendere una rampa di scale per entrare dalla “porta di servizio”. Non si comprende, dunque, il tono con cui l’azienda risponde alla massiccia adesione (oltre il 90%): «Atesia, visto il pesante clima di intimidazione creato da qualche decina di elementi che impediscono il libero accesso a migliaia di lavoratori, comunica di essere costretta a sospendere le attività per evitare qualsiasi rischio per l’incolumità dei propri collaboratori». Il retroscena lo racconta Franco Russo, deputato del PRC che ha seguito le prime fasi del “picchettaggio”: «davanti ai miei occhi i dirigenti dell’Atesia hanno chiesto alla polizia di sgomberare il presidio». Un “consiglio” che la polizia ha saggiamente ignorato.
«L’azienda sta esasperando i toni», afferma Cristian, del Collettivo Precari. «Quando alle 16 abbiamo iniziato a sciogliere il presidio, hanno inspiegabilmente chiuso tutto. Non vogliono riconoscere che i lavoratori sono uniti».
Con lo sciopero di ieri la vertenza Atesia giunge nella sua fase decisiva. L’azienda sembrerebbe aver seguito solo a parole la richiesta del Ministro Damiano e del sottosegretario Rinaldi, che chiedevano di rinnovare i vecchi contratti. Inoltre l’applicazione dell’accordo potrebbe aggiungere agli attuali altri 500 esuberi. Per i dirigenti del call-center di Alberto Tripi sarebbe un’opportunità per togliersi dai piedi molti pericolosi attivisti anti-precarietà.