Atesia e il sindacato: la frittata ormai è fatta

Come dice il vostro Francesco Piccioni, se il sindacato condiziona le sue scelte subordinandole a quelle dell’ispettorato del lavoro al massimo può svolgere una funzione di supporto per l’ufficio del personale di un’azienda.
Questa semplice equazione può dare fastidio ma è assolutamente efficace e perlomeno questa è la percezione che ne hanno i lavoratori e a chi fa il mestiere del sindacalista questa suggestione non può mai essere indifferente.
Diciamolo, la vicenda Atesia ha preso per il sindacato una brutta piega, ma può anche rappresentare l’apertura di una discussione non più rinviabile, quella che piccole sacche di resistenza sindacale hanno tenuto aperta in Slc.
Non vale che ora il sindacato, anche se solo una parte di esso, chieda di bloccare momentaneamente l’applicazione dell’accordo dell’aprile scorso perché c’è stato l’intervento dell’ispettorato del lavoro. Semmai il problema è perché lo ha sottoscritto, da chi aveva avuto il mandato e se quell’esito è stato poi validato dalla completa consultazione di tutti i lavoratori, sia dipendenti ma soprattutto i collaboratori, cui l’accordo era diretto. E questa norma andava maggiormente assicurata visto che lo stesso Nidil non aveva sottoscritto l’intesa in questione (questo per interrogarsi sulla titolarità della contrattazione).
Ora, la premessa per una qualsiasi azione futura è che la firma su quell’accordo venga ritirata, a prescindere da qualsiasi intervento esterno al sindacato.
Ancora una volta, nel settore delle telecomunicazioni, questioni di merito sindacale s’intrecciano con la questione della rappresentanza e della democrazia.
Miceli e Rocchi, sul vostro giornale, avevano sostenuto la bontà del principio di gradualità che attiene all’azione sindacale. Ma qui il problema era e rimane un’altro, cioè quello che gli ispettori del lavoro hanno dimostrato. Nel caso di Atesia siamo di fronte a lavoro subordinato e al sindacato spetta il compito di farlo riconoscere. Solo in tal caso l’emersione verrebbe risolta in sé.
Al contrario, l’accordo sindacale dell’11 aprile scorso, invece di «alzare l’asticella dei diritti», di fatto avvalla la natura del rapporto di lavoro com’è inteso dall’azienda. Di qui l’errato giudizio secondo cui per i lavoratori di Atesia si sarebbe trattato di un graduale miglioramento della loro condizione di partenza. La controprova l’avremmo avuta se ci fosse stato un loro preciso mandato a realizzare quel tipo d’accordo.
Già l’intesa del 2004 occultava l’esatta natura di quel rapporto di lavoro – già allora palesemente di natura subordinata – e questa è l’ultima cosa che un sindacato avrebbe dovuto fare. E mi duole dire che in Slc l’unica voce contraria a quell’intesa fu quella del sottoscritto. Tutto quello che viene dopo è solo subalternità all’impresa, tanto più grave perché dal sindacato non sono mai stati misurati i rapporti di forza. Semmai il conflitto c’è stato tra sindacato e i lavoratori, come le cronache del vostro giornale hanno puntualmente riportato.
Voci contrarie sulla politica contrattuale del sindacato della comunicazione della Cgil, anche se minoritarie, ci sono sempre state. Una su tutte, quella delle tante Rsu che dopo la firma del contratto delle Tlc chiedevano un’assemblea nazionale. Assemblea che Miceli aveva assicurato e che, a distanza di molti mesi, non è stata ancora realizzata. Nel frattempo, però, ai problemi allora evidenziati si è aggiunto quanto messo in luce nella vicenda Atesia dalla lotta dei lavoratori e dagli ispettori del lavoro da loro sollecitati a intervenire.

* Direttivo nazionale Slc Cgil