Documento conclusivo dell’assemblea autoconvocata di Roma del 15 luglio – “NO alla guerra senza se e senza ma. Via dall’Iraq, via dall’Afghanistan”
Ci siamo riuniti oggi in tanti, pacifisti e pacifiste, esponenti dei movimenti e delle associazioni contro la guerra, sindacalisti, parlamentari, uomini e donne di partito, per dire una cosa semplice e netta: no alla guerra “senza se e senza ma”.
Il nostro grido giunge mentre in Medio Oriente una nuova, vecchia, guerra riemerge violentemente con l’uso indiscriminato delle bombe sui civili, con il terrore di Stato, con la chiusura unilaterale del dialogo e della trattativa. Una guerra che si aggiunge alle tante contro cui ci battiamo da sempre, dall’Iraq all’Afghanistan. La guerra, sempre più, si presenta come strumento privilegiato degli Stati più forti e dei potenti della Terra, a partire dalle grandi multinazionali, per costruire un “ordine” internazionale fondato sul dominio e l’oppressione che a loro volta generano morte, miserie e sempre più marcate povertà. La guerra si erge, quindi, a sistema politico globale sia nella sua versione più spregiudicata, l’unilateralismo statunitense, sia nella versione temperata del multilateralismo a copertura Onu e a guida Nato.
È contro questa guerra che noi intendiamo batterci senza mediazioni perché sulla guerra non si può mediare né, tanto meno, ridurre il danno. Se la guerra è un sistema di dominio e di oppressione – che non serve a ridurre o a depotenziare i fenomeni terroristici come la storia degli ultimi cinque anni dimostra – il NO alla guerra è fondativo di un’identità politica collettiva che ha preso le mosse nelle manifestazioni contro la guerra del Kosovo e poi contro la “guerra infinita e preventiva” in Afghanistan e in Iraq.
C’è un filo che lega queste mobilitazioni, un filo che non intendiamo spezzare.
Per questo vogliamo proporre a tutto il movimento un nuovo corso, un rilancio della nostra iniziativa per non rassegnarci né smobilitare, per mantenere una coerenza di fondo anche nelle scelte politiche contingenti siano esse di natura istituzionale o meno. Un nuovo corso che sia basato su alcuni punti essenziali:
1) Solidarietà al popolo palestinese per la costituzione di uno Stato laico e democratico sui Territori occupati nel 1967 e con Gerusalemme capitale. Questo obiettivo per essere realizzato ha bisogno di alcune condizioni sostanziali: l’immediato cessate il fuoco, il ritiro di Israele dai Territori occupati, lo smantellamento del Muro, lo sblocco degli aiuti europei al legittimo governo palestinese. Il governo italiano deve impegnarsi su questi punti a cominciare dalla revisione dell’accordo di cooperazione militare con Israele e dalla richiesta di un intervento di interposizione dell’Onu nei Territori occupati.
2) Via dall’Iraq e via dall’Afghanistan. L’occupazione militare di questi Paesi non costituisce la soluzione di un problema ma rappresenta il problema. L’Italia deve farsi portavoce di un’iniziativa di pacificazione e di impegno in direzione della cooperazione e della solidarietà civile. Questo significa contrastare il ruolo di gendarme mondiale della Nato a cominciare dalla revisione degli accordi di Washington del 1999.
3) Via le basi militari e via il nucleare dal suolo italiano;
4) Riduzione delle spese militari con la completa revisione del nuovo modello di Difesa che prevede l’incremento di missioni militari all’estero, per una politica di disarmo e per la riconversione dell’industria bellica senza penalizzazioni per i lavoratori e le lavoratrici.
Questo appello deve vivere nelle iniziative che sapremo realizzare sia a livello parlamentare sia, soprattutto, a livello sociale, a cominciare dalle mobilitazioni delle prossime settimane. Il movimento per la pace rappresenta ancora oggi la maggioranza civile di questo paese. È nostro dovere dargli voce, offrirgli gli strumenti per esprimersi, costruire un nuovo slancio unitario e radicale perché la guerra sia bandita dalla Storia.