Soltanto la bandiera di Rifondazione dietro il palco. E affissi alle pareti due poster: uno No Tav, l’altro No Inceneritori. L’iconografia dell’ultimo appuntamento fiorentino aiuta già a capire il contesto. Quello che vede una parte del Prc – quanto piccola lo diranno i prossimi mesi – mettere in discussione la strategia del gruppo dirigente del partito.
Al punto da annunciare un documento politico in vista del prossimo congresso. Una mozione da accompagnare con iniziative, assemblee, una campagna informativa e una sottoscrizione di autofinanziamento. Grandi manovre contro la «cosa rossa» insomma. Partite ufficialmente con l’appello «Un congresso per rilanciare i movimenti e l’autonomia del Prc», firmato da un centinaio fra dirigenti e iscritti delle federazioni fiorentina e empolese di Rifondazione, pubblicato a ridosso della manifestazione del 20 ottobre scorso. Con un certo successo, almeno a giudicare dalle 1.300 firme raccolte in 65 federazioni di 17 regioni. Dati che non temono smentita, forniti dagli organizzatori di questa prima assemblea nazionale.
Un incontro che nasce non per caso sull’asse fra Firenze e Bologna. Lì dove lo storico radicamento sociale di Rifondazione ha dovuto fare i conti (a Bologna) o potrebbe farli (a Firenze) con la prova del fuoco dell’esperienza di governo. Un’esperienza che almeno sotto le due torri, e con Sergio Cofferati alla guida dalla città, ha cortocircuitato Rifondazione. Mentre sul versante toscano è stato l’ingresso nella giunta regionale di Claudio Martini, votato anche a denti stretti ma a grande maggioranza (con l’eccezione significativa di Firenze, dove ai 51 favorevoli si sono contrapposti 44 contrari), a fare da detonatore. «E’ stato un passaggio politico che ha contribuito ad aggregarci – spiega il capogruppo provinciale fiorentino del Prc, Sandro Targetti – ci siamo messi a discutere ed ora eccoci qui».
Dal locale al nazionale. Non solo fiorentini e bolognesi che all’ultimo congresso di Venezia si erano spesi per la mozione bertinottiana. Anche l’area dell’Ernesto ormai scissa da quella grassiana di Essere Comunisti. E ancora, ferrandiani non usciti verso il Pcl, e «critici» refrattari al movimento di Cannavò e Turigliatto. «Aspetto localistico? Ora non più – dice Adriana Miniati dell’Ernesto – una volta avviata la discussione abbiamo trovato risposte in realtà di Rifondazione dell’intera penisola. Credo si possa dire che abbiamo dato dignità politica ad un umore diffuso dentro il partito». Un umore che in estrema sintesi, e i numerosi interventi fatti durante l’assemblea lo confermano, segnala il disagio dei dirigenti ma soprattutto di una parte della base di fronte a quella che viene definita «deriva governista». Cui si accompagna la preoccupazione per il paventato scioglimento del partito nella «cosa rossa«: «Serve un dibattito congressuale aperto – sintetizza dal palco Ramon Mantovani – lungo, senza bugie o doppie verità. E il tema del governo dovrebbe essere centrale, perché allude al nostro futuro. Avevamo previsto un circuito virtuoso, un aumento della domanda dei movimenti. Non è avvenuto, anche per gli errori che abbiamo compiuto. Ora la cosa rossa sarebbe una sinistra decaffeinata, e romperebbe la nostra internità al movimento mondiale contro la globalizzazione».
C’è anche Giorgio Cremaschi, che vede nel processo costituente a sinistra «lo stesso linguaggio nuovista e autodistruttivo con cui si sciolse il Pci». Discussione aperta dunque, dentro e fuori il partito. Con lo slogan «guardando in basso a sinistra». Anche con l’orgoglio di chi Rifondazione l’ha aiutata a nascere e crescere. Di qui l’appello «a compagni e compagne a non abbandonare la militanza, e a partecipare al congresso». Un partito con contraddizioni, certo. Ma ancora un partito vivo.