Aspettando i tempi belli

Martedì sera guardavo Ballarò. Si discuteva di conti pubblici, deficit che cresce, debito che non diminuisce, Irap da tagliare, ma se tagli l’Irap non hai più soldi per le famiglie, allora vendiamo le spiagge, no meglio il mare. Avevo un po’ di difficoltà a seguire il dibattito. Mi hanno aiutato i due ospiti in quota centrosinistra. E ho capito alcune cose: che quando governavano loro, riuscivamo a mettere ogni anno da parte un mucchietto di quattrini per pagare i debiti, giusto come un buon padre di famiglia; che da quando è arrivato al governo il centrodestra, tutto è andato a rotoli, perché hanno aumentato le spese, bloccato le privatizzazioni, ingigantito il deficit e arrestato la discesa del debito pubblico; che adesso bisogna discutere insieme, maggioranza e opposizione, dello stato dei conti e astenersi dalle perversioni goderecce indotte dall’imminente ciclo elettorale. Insomma, mi hanno convinto: tutta colpa del deficit. Dobbiamo risparmiare, tagliare le spese, soprattutto quelle inutili, perché altrimenti le società di rating (quelle che certificano l’affidabilità dei debitori, spiegava il conduttore) ci declasseranno e saremo costretti a pagare più interessi di quanto non ne paghiamo adesso. Possibile che queste cose le faccia il governo in carica? Quel Tremonti, per dir solo di lui, ma ve l’immaginate che fa qualcosa di serio? Uno che all’indomani della nomina a vicepremier lancia l’idea di vendere il bagnasciuga? Dovremo aspettare ancora un anno, mi sono detto. Poi, verranno i tempi belli.

Quelli in cui torneremo ad accumulare mucchietti di denaro anno dopo anno per pagare i debiti, a vendere le insulse partecipazioni statali nell’industria che ancora ci restano e a dismettere l’inutile patrimonio edilizio degli enti pubblici. E riporteremo il paese ai bei tempi dell’Ulivo: quando abbiamo ceduto agli imprenditori coraggiosi la luce, il gas e l’acqua e ancora gli abbiamo venduto la telefonia, le autostrade e la meccanica, per non parlare di alcune banche; quando abbiamo liberalizzato il mercato del lavoro, per consentire ai nostri giovani di diventare co.co.co. invece che stare a casa a far nulla; quando abbiamo abolito l’iniquo equo canone, odioso vincolo statalista; quando abbiamo riformato le pensioni, per evitare lo scandalo che un cinquantacinquenne potesse starsene in panciolle dopo appena trentacinque anni di fabbrica. Era tardi e certo dimenticavo molte cose di quei tempi virtuosi e felici. Soprattutto, non riuscivo a ricordare perché poi avessimo perso le elezioni.