“Al centro di tutto c’è la democrazia”, dice Franco Arrigoni, segretario
regionale della Fiom Lombardia. “Lo dimostra anche ciò che è accaduto
nel congresso della Cgil: il modo in cui sono state trattate le tesi
alternative, anche sul piano della rappresentanza, indica purtroppo
che quello della democrazia è un problema centrale anche nella Cgil”. Il
rischio, che emerge dai tre giorni dell’assise congressuale del più
grande sindacato italiano, è quello che “vada perduto il lavoro svolto
in questi anni dalla Fiom, con grandi battaglie che hanno ridato dignità
agli iscritti”. Il congresso appena concluso, dunque, sembra lasciare
aperte ancora molte questioni, mentre il ritorno prevedibile del
fantasma della concertazione rende ancora più infiammati i postumi di
un congresso che solo formalmente si è chiuso unitariamente.
L’intervento di Prodi e le conclusioni di Epifani rimettono in primo
piano l’ipotesi di un ritorno alla concertazione. Su queste posizioni le
critiche di Rinaldini e della Fiom sono state durissime, già nelle fasi
conclusive del congresso. C’è il rischio di un ritorno ai patti del ’93?
Lo scontro sui questi temi viene da lontano, come dimostra il congresso
della Fiom, che su questi temi è stata chiarissima. Gli accordi del 23
luglio per noi non sono riproponibili. Dinanzi all’emergenza salariale
ha potere solo il conflitto, e una politica coerente di tutta la
confederazione che rimetta al centro, oltre al semplice recupero del
potere d’acquisto, un aumento del salario. Per noi non c’è altra via
d’uscita alla crisi che attanaglia il paese.
Eppure tra la Cgil di Epifani e l’intervento di Prodi al congresso sembra esserci una totale unità di vedute, anche sui nodi controversi del programma.
E’ utile specificare che mentre del Patto Fiscale si faceva menzione già
nelle tesi congressuali, il tema del Patto di Legislatura è uscito allo
scoperto solo in conclusione del congresso. Una parabola simile a quella
subita dalla critica della legge 30: mentre nelle tesi congressuali si
parlava di abrogazione, Epifani nelle sue conclusioni ha corretto il
tiro parlando di superamento. La contraddizione è evidente, e forse
sono stati Pezzotta e Bersani a notarlo con maggiore efficacia, con due
battute che vale la pena ricordare. Il primo si è detto d’accordo a un
patto di legislatura, ma ha specificato che una simile ipotesi dovrebbe
essere valida con qualsiasi governo. Difendendo il Patto per l’Italia
che la Cgil si è rifiutata di firmare, Pezzotta ha duramente criticato
la presunta autonomia della Cgil, pronta a rientrare nei ranghi dinanzi
a un governo amico.
Bersani, invece, ha risolto tutto con una battuta: “Dinanzi a un
sindacato di governo, ci toccherà fare un governo di lotta”. La
confusione dei ruoli non potrebbe essere maggiore.
C’è poi la questione della democrazia. Nel programma non se ne fa
parola, e anche gli altri sindacati sembrano scettici.
Sulla Cisl c’è poco da dire, si mantiene semplicemente il modello del
sindacato rappresentativo. Ciò che è più grave è la debolezza di Epifani
su queste questioni. In primis nelle tesi non si parla di referendum sui
contratti. In seconda istanza Epifani sembra privilegiare l’accordo con
i sindacati sulla possibilità di promuovere una legge sulla democrazia
contrattuale. Una legge che, se approvata, assicurerebbe l’esistenza di
sindacati autonomi dal potere politico, sottoponendo l’azione del
sindacato al controllo dei lavoratori.
Quale opinione ti sei fatto del programma dell’Unione?
A differenza di Epifani faccio molta fatica a sentire mio il programma.
Certo, cacciare Berlusconi non può che essere un nostro obiettivo
primario, ma sul prossimo governo… temo che ne vedremo delle belle.
Mancano opinioni chiare sulla politica industriale, su quali settori
privilegiare, sul ruolo dell’intervento pubblico: il programma
dell’Unione è pieno di elementi contradditori, derivati da profondi
problemi nella coalizione che lo ha redatto. C’è, inoltre, la questione
del mercato del lavoro: superare la legge 30 non vuol dire abrogarla. E
per finire c’è la questione delle pensioni: anche qui il programma non
spicca in chiarezza, ma le premesse sono, queste, assai chiare e
preoccupanti. Quando sento sostenere che, dinanzi all’innalzamento
dell’età media della popolazione è fisiologico un aumento dell’età
lavorativa, mi tremano i polsi.