Armadio della vergogna: intervista allo storico Alessandrini

INTERVISTA DI AGOSTINO GIORDANO A LUCA ALESSANDRINI

Quando si parla di “Armadio della Vergogna” ci si riferisce ai 695 fascicoli processuali che vennero occultati a Roma, nella sede della Procura generale militare, proprio in un armadio (la cui apertura era stata rivolta verso un muro), al pianterreno del Palazzo Cesi. Questi fascicoli contenevano istruttorie processuali che avevano l’obiettivo di far luce sui crimini di guerra commessi dai nazifascisti nel periodo dell’occupazione tedesca dell’Italia, compreso fra il 1943 ed il 1945. Fino al 1994 (anno in cui si è cominciato ad inviare i fascicoli processuali alle procure militari territoriali) tutta questa documentazione è rimasta nascosta, in modo da garantire la totale impunità a diversi criminali tedeschi (sia dell’esercito sia dei reparti delle SS), ma anche a diversi criminali dei reparti della Repubblica Sociale Italiana, i fascisti che collaboravano con i nazisti, insieme ai quali hanno commesso eccidi, saccheggi ed omicidi vari. Quelle che più si ricordano sono le stragi di Cefalonia, delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema, ecc., ma sono tanti gli episodi di violenza gratuita di massa che per anni non sono stati di dominio pubblico o sono rimasti addirittura sconosciuti. Su l’Unità del 18 luglio scorso Claudio Lenzi ha riportato alcuni interessanti esiti della Commissione parlamentare d’inchiesta, che da circa due anni sta indagando sulle cause dell’occultamento dei fascicoli nel cosiddetto “armadio della vergogna”: la commissione ha rinvenuto negli USA importanti documenti che rivelano come ex ufficiali nazisti non solo rimasero impuniti, ma, addirittura, divennero agenti dei servizi segreti al soldo degli americani ed in funzione antisovietica. Emblematico è il caso di Theodor Saevecke, ex capitano delle SS, nonché ideatore ed organizzatore della rappresaglia che portò all’uccisione di 15 partigiani a Piazzale Loreto, a Milano, il 10 agosto del 1944: Saevecke fu messo, dagli statunitensi, a capo dei servizi segreti della Germania dell’Ovest.

Parliamo di tutto ciò con lo storico Luca Alessandrini, Direttore dell’Istituto Parri Emilia Romagna.

Prof. Alessandrini, qual è il suo giudizio sulla triste vicenda dell’ “Armadio della vergogna”?

La vicenda è molto chiara: si è trattato di un vero e proprio occultamento, da parte dello stato italiano, di crimini nazifascisti commessi in Italia durante l’occupazione tedesca. Questi crimini erano riscontrabili nelle istruttorie avviate dalla V Armata dell’esercito statunitense, presente sul territorio italiano prima, durante e dopo la Liberazione. Le istruttorie, quindi, erano già state istruite dagli americani, prima ancora che le truppe tedesche fossero state definitivamente cacciate dall’Italia e si ponesse fine all’esperienza della Repubblica di Salò. Ad esempio, per quanto riguarda la strage di Casalecchio, nota come l’eccidio del “Cavalcavia”, gli americani avevano individuato i responsabili già nel dicembre del 1944! C’erano tutte le possibilità per procedere e punire i colpevoli proprio attraverso quelle istruttorie, ma ciò non è stato fatto e si è arrivati ad un lungo occultamento, durato fino al 1994, ma neppure dopo il ’94 si è proceduto come si doveva, fra troppi ritardi e lentezze…

Quali sono, secondo lei, i motivi principali che hanno portato a questo occultamento?

Ci sono tre principali motivi. Primo: processare militare tedeschi per crimini contro l’Umanità, all’indomani della Seconda guerra mondiale, significava mettere in seria difficoltà il nascente stato tedesco, con tutte le conseguenze che ne sarebbero scaturite a livello di equilibri internazionali. Secondo: processare le autorità militari tedesche significava processare anche i militari italiani e ciò voleva dire che la Procura militare italiana avrebbe dovuto indagare sui crimini commessi dai soldati italiani in Slovenia, in Grecia, in Albania, etc… Proviamo ad immaginare cosa sarebbe successo! Terzo: una volta avviati concretamente i processi, si poneva la questione delle estradizioni e, ad esempio, Tito avrebbe chiesto l’estradizione dei militari italiani che avevano commesso crimini in territorio jugoslavo, per poterli processare così in Jugoslavia e non Italia…
Ci sono poi altri due importanti fattori da considerare: mettere in discussione l’Esercito italiano in relazione a crimini efferati, significava mettere in discussione tutta la società italiana e per un paese che doveva rinascere dalle tragedie causate dal fascismo e la guerra sarebbe stato un grande colpo. Ultima cosa: bisogna tener presente la difficoltà che si è sempre avuta in Italia a mettere sotto controllo i cosiddetti corpi separati dello stato; in molti casi si è ostacolato il pervenire a qualsiasi verità (basti pensare ad Ustica, alla Moby Prince, etc.); in particolare, il senso di autodifesa che caratterizza l’Esercito è davvero molto forte ed è davvero molto difficile che un militare arrivi a processare un altro militare, specie se alto in grado…

Nel documento conclusivo approvato, il 6 marzo 2001, dalla Commissione giustizia della Camera si legge che “E’ emerso con tutta evidenza che l’inerzia in ordine all’accertamento dei crimini nazifascisti sia stata determinata dalla “ragion di Stato”(…)”, lei concorda con questa affermazione?

Se per “ragion di stato” si intende tutto ciò che ho detto prima, allora sì.
L’influenza degli Stati Uniti quanto ha pesato in questa vicenda?
Possiamo dire che l’influenza degli Stati Uniti c’è stata, ma in senso lato. Sarebbe più corretto dire che, invece, da parte dell’Italia c’è stato un eccesso di zelo nei confronti degli Stati Uniti e che questi ultimi non lo pretendevano affatto. E’ troppo facile parlare di “guerra fredda”, quando invece ci sono delle precise responsabilità. Gli statunitensi avrebbero impedito di processare un agente della CIA, ma non avrebbero certo impedito che si processassero nazisti o fascisti colpevoli di aver commesso eccidi ed efferatezze in Italia.

Corriamo il rischio di trovarci di fronte ad una riabilitazione totale degli elementi culturali e storici fascisti, soprattutto di questi tempi, in cui stiamo assistendo alla crescita di una “nuova destra” xenofoba e razzista e ci stiamo trovando dinanzi ad un duro attacco del revisionismo storico, alimentato anche da certa “sinistra” nostrana?

E’ evidente che c’è un disegno moderato (che sta maturando da tempo), che si pone l’obiettivo di riaccreditare il passato storico della destra italiana e che vuole proprio riabilitare il Fascismo. In questa nuova epoca caratterizzata dalla globalizzazione (qui però il discorso si fa complesso e si potrebbe approfondire in un secondo momento), c’è un tentativo chiaro di acquisire, facendoli propri come ineluttabili, i peggiori aspetti dell’ideologia fascista. Tutto ciò bisogna contrastarlo ed impedirlo.