«Arabia Saudita e Stati Uniti i responsabili del disastro iracheno»

Gilbert Achcar è docente di relazioni internazionali all’Università di Parigi VIII Saint Denis e all’Università americana di Berlino. L’abbiamo intervistato durante “Medlink”, un’occasione per discutere su come trovare una prospettiva comune contro le guerre e il liberismo e per affermare e difendere i diritti dei popoli, ai quali la lotta per la pace è inestricabilmente legata.

La guerra civile in Iraq rischia di superare i confini della “questione irachena”. Esiste un ritorno alla centralità della questione sciita e che ruolo gioca Teheran in questa partita?

Teheran non ha nessun interesse a spingere per la guerra civile, un conflitto tra sunniti e sciiti non fa parte della strategia iraniana. Quello che interessa all’Iran è guadagnare un ampio supporto nel confronto con gli Stati Uniti. Per questo pone l’enfasi su una sorta di messaggio panislamico: il supporto dei musulmani per la causa palestinese, l’appoggio alla popolazione libanese contro Israele e a quella irachena in funzione antiamericana. Teheran sa benissimo quanta centralità assumano queste questioni per l’opinione pubblica araba. Al contrario, i regimi arabi legati a Washington, in particolare Egitto, Giordania e Arabia Saudita, e gli stessi Stati uniti hanno utilizzato le divisioni confessionali (sunniti contro sciiti), provando a fare leva anche sul nazionalismo (arabi contro persiani), al fine di isolare l’Iran e ostacolarne l’influenza. Ma in questo senso hanno fallito perché l’opinione pubblica araba ritiene l’Iran utile al fine di contrastare Israele e nutre simpatie per il vicino persiano.

Vede possibile una rinascita il nazionalismo iracheno?

La divisione tra sunniti e sciiti è stata alimentata negli ultimi decenni ed ha assunto una sua centralità con la rivoluzione iraniana del 1979, quando gli Stati uniti e i loro alleati arabi sunniti provarono a isolare Khomeini. Durante la guerra contro l’Iran, Saddam Hussain provò a fare lo stesso, facendo leva però sul nazionalismo in quanto la maggioranza della popolazione irachena è sciita e quindi l’opposizione si giocò tra arabi e persiani. Ma dopo la caduta del regime di Baghdad, l’Iraq è diventato un’importante arena per l’influenza iraniana perché circa il 60% della popolazione irachena è sciita e ha relazioni con l’Iran, mentre i regimi sunniti ultrafondamentalisti vicini a Washington hanno continuato ad alimentare la divisione religiosa, provocando un pericoloso ritorno al confessionalismo. E’ un gioco molto sporco ideato dall’Arabia Saudita, da Washington e dai suoi stessi alleati arabi, che sono i maggiori responsabili dell’attuale disastro in Iraq.

Il rischio che le divisioni interconfessionali si inaspriscano è presente anche in Libano. Che tipo di exit strategy dall’area dovrebbero adottare gli Stati Uniti e i loro alleati?

Credo che la cosa più importante sia lasciare l’intera area indipendentemente dalla strategia. Intendo che l’uscita degli Stati Uniti dall’Iraq sia una condizione imprescindibile per provare a restaurare una pace sociale e una stabilità nel paese.

Il recente omicidio di Gemayel a Beirut può essere letto come un segnale per ostacolare la svolta di Damasco?

L’omicidio di Gemayel, come molte delle cose che accadono in Libano o nell’area, ha molti lati oscuri. Naturalmente lo schieramento anti-siriano si è affrettato ad accusare la Siria, ma in questo momento credo che sarebbe un suicidio da parte di Damasco pensare di agire in questo modo. Credo che ci siano forze che stanno spingendo per una guerra civile in Libano e sono le stesse che vorrebbero una guerra civile in Palestina. Mi riferisco ovviamente all’amministrazione Bush e al governo israeliano, che non auspicano la formazione di un governo di unità nazionale in Libano, come in Palestina. Vogliono che i loro alleati locali rompano con Hamas e con Hezbollah e questo vuol dire spingere verso la guerra civile.

L’assassinio di Gemayel, a prescindere dal mandante, è stato immediatamente utilizzato in Libano da alcune forze per alimentare la tensione in un gioco ancora una volta molto pericoloso. Le stesse forze alleate di Washington sono divise su questo: c’è chi tiene la linea dura, ma c’è anche chi, in particolare gli alleati sauditi, sono coscienti del pericolo di una nuova guerra civile in Libano perché non sono sicuri che la parte che sostengono potrebbe avere la meglio e quindi spingono per raggiungere un compromesso.

Il rischio nel caso di una nuova guerra civile sarebbe vedere gli sciiti contrapporsi ai sunniti, a differenza della precedente dove erano cristiani e musulmani a contrapporsi; l’altra possibilità è che si trovi un consenso per nuove elezioni. Speriamo che si scelga la seconda strada.

In che modo l’Europa deve affrontare la questione mediorientale?

Innanzitutto dovrebbe avere una politica internazionale indipendente invece di accettare le condizioni di Washington com’è accaduto nel caso dell’Afghanistan. Gli Stati Uniti devono abbandonare l’area, è questa la premessa a qualunque tipo di soluzione.