“APPUNTI DI UN VIAGGIATORE NELLA TERRA DEL SOCIALISMO DI MERCATO”

Pubblichiamo, in due parti, ampi stralci di una sorta di diario di viaggio del nostro compagno Walter, tornato di recente dalla “Repubblica Popolare dell’Impero di mezzo”. Un’interessante spaccato della vita quotidiana delle città cinesi di Pechino e Shangai osservato con gli occhi di un giovane comunista occidentale. Questo mese vi presentiamo i suoi scritti da Pechino, a gennaio quelli da Shangai;

Sono partito il 13 luglio di quest’estate con un volo Finnair diretto a Pechino dall’aeroporto romano di Fiumicino. Cambio a Helsinki, 14 ore in totale fino a destinazione.
Appena atterrati mi sono sentito avvolto dalla classica nebbia estiva di Pechino. Niente di mistico-orientaleggiante, solo una maledetta nebbia simil-padana caratteristica del clima umido che si respira in estate. Il clima in Marzo è freddo, l’aria secca e il cielo mantenuto terso dal continuo spirare delle brezze mongole. D’estate invece i venti stagnano, e Pechino si trasforma in un’insopportabile cappa.
L’impatto linguistico è stato abbastanza duro fin dall’inizio nonostante tre anni di cinese alle spalle, a partire dalle prime conversazioni in taxi dall’aeroporto all’università (di lingua e cultura di Pechino), poiché , a forza di soap opera radiofoniche, i tassisti pechinesi hanno sviluppato un tremendo senso di toni e ritmi nella pronuncia della lingua. Correggono tutti e fanno finta di non capire anche se lo straniero di turno si esprime correttamente. Peggio che a Parigi!
I primissimi giorni sono stati un dramma per due problemi: per il fuso orario mi svegliavo tutte le mattine prestissimo e il pomeriggio crollavo dal sonno, inoltre la mia postepay prepagata all’inizio sembrava inutilizzabile nei bancomat, finché per caso, accompagnando un amico, non ne ho trovato uno che l’accettasse nel grattacielo della sede centrale della Bank of China, che è proprio lì, vicino all’università.
L’università
Ho alloggiato per un mese e mezzo nei su she (alloggi) universitari, in una stanza doppia con bagno, spartana ma con tv satellitare, frigorifero e aria condizionata. Ogni giorno seguivo quattro ore di lezione nella classe del livello cui ero stato assegnato, dopo un rapido test di cinese. Un professore spiegava le lezioni e con un altro facevamo gli esercizi. Nel pomeriggio prendevo lezioni private da uno studentessa-tutor che mi insegnava i vocaboli della vita quotidiana.
Il mio compagno di stanza è stato un coreano di Seoul davvero interessante, laureato in economia, con due anni di servizio militare obbligatorio alle spalle(dopo i 18 anni i cittadini sudcoreani non possono più andare all’estero se non hanno prima prestato servizio militare).Ora studia per la seconda laurea in lingua e cultura cinese, il tutto in 25 anni. Dopo pochissimi mesi di studio parlava già un ottimo cinese(lingua nella quale comunicavamo), e si tratterrà a Pechino almeno fino al prossimo gennaio. Palestrato, imponente e maniaco dell’hip pop. Haifan il suo nome cinese, un tipo davvero singolare! Pulito ed educato, mi ha introdotto nella cerchia dei coreani che ho frequentato per un po’ all’inizio del mio soggiorno.
Come tutti gli studenti italiani di cinese ho trovato molta più difficoltà nell’orale che nello scritto, e, a lezione, capire che diavolo dicesse il professore all’inizio è stata un impresa ardua, e poi via via più accessibile.
La stragrande maggioranza degli studenti dell’università di lingua e cultura è straniero, di cui la metà è costituita da sudcoreani onnipresenti. Molti gli europei ma anche americani, latinos, africani. Gli italiani parecchi, davvero un numero notevole e provenienti in gran parte dall’orientale partenopea, ma anche milanesi e uno sparuto gruppo di romani. Anche nella mia classe il 40 per cento degli studenti era italiano, quasi tutte ragazze. Molti tedeschi e studenti provenienti da Londra, perfino un uzbeko britannico, e alcuni studenti australiani. Certo, soprattutto per i corsi brevi estivi, l’università si riempie di italiani, che invece non se la sentono di rimanere per i corsi annuali (a parte poche eccezioni), e l’università stessa prevede corsi di differenti durate, da quattro settimane a 2-4 anni per chi intende laurearsi lì.
L’università che ho frequentato si trova nel quartiere nord occidentale chiamato Wu Dao Kou (“vu dao cou”), vicino alla prestigiosa “Qinghua” e in generale nel quartiere universitario di Pechino. La yuyan daxue (“iu ien tasciue”, abbreviazione locale del nome dell’ “Università di lingua e cultura”) stupisce per dimensioni al primo impatto… sarà estesa su un’area all’incirca la metà di quella della città universitaria della Sapienza di Roma, ma ovviamente contiene strutture e alloggi per una facoltà sola, quella appunto degli studi linguistici e culturali. Con 5000 posti letto, piscina, campi da football, basket, tennis e palestra, ristoranti, negozi, ecc… Una vera e propria città autosufficiente, con un viavai continuo di gente in entrata e uscita che dura tutto l’anno senza soluzione di continuità.
Il quartiere è popolare, economico… ancora adesso ricordo come fosse ieri il mitico “Propaganda”, una piccola discoteca in stile Red, con tanto di stellone rosse un po’ ovunque e nella sala da ballo un enorme graffito raffigurante una giovane operaia di una fabbrica siderurgica, mentre aziona un macchinario per versare l’acciaio fuso negli stampi e sorride felice(!)…vi ho trascorso almeno una decina di serate a ballare R&B circondato da perfetti hip-poppettari locali.
Sfatiamo(tra le tante)una delle false convinzioni sulla Cina. Si tratta di un paese sovrappopolato, non sporco. Le strade, i locali e le case sono pulite anche rispetto ai nostri standard. Soprattutto le strade, anche nei quartieri più periferici, sono nette e larghe. E il cinese medio si lava accuratamente, magari evitando gli sprechi idrici nostrani ma si lava ed è sempre presentabile.
Il cibo non è davvero un problema, l’università è piena di ristoranti dove si può trovare, oltre alla cucina cinese, quella giapponese e la regionale cinese delle province musulmane(a base di carne e cereali, davvero ottima!). Fuori dall’università c’è un Mc Donald, un KFC ma soprattutto un ristorante italiano a buffet economico e di buona qualità chiamato “Tafi”.
La Cina è la fabbrica del mondo, questo è noto. Quello che è meno noto è che in Cina qualunque studente occidentale può condurre una vita da nababbo. La moneta è sottovalutata molto, 1 euro equivale a 10 yuan che se spesi in Cina permettono di acquistare molto di più di quanto si possa fare con 1 euro da noi. Esiste un grande magazzino di abbigliamento, noto in questi giorni anche in Italia per essere stato accusato da alcuni marchi occidentali di smerciare prodotto falsi, chiamato Silk Market, dove è possibile rifarsi il guardaroba per 2-300 euro. Un pasto al ristorante costa tra 1 e 3 euro , Mc Donald’s è sotto i 2, e l’italiano costa sui 3 ma mangi quanto vuoi. Una casa di periferia ben collegata col centro nel distretto di Tongzhou, ho sentito dire, ai cinesi costa il corrispettivo di 80 euro per un mese. Forse cento per uno straniero. E la Cina è forse l’unico posto in cui questo sia possibile, considerando la qualità dei prodotti acquistabili che soddisfa gli standard occidentali. Questo dà un senso di libertà e diminuisce le preoccupazioni di soggiorno in un paese così lontano. Ti permette di riflettere con calma sulla tua vita. Ho sentito più volte studenti che pensavano di tornare e alle difficoltà di riadattarsi alla loro vita in Italia, parlare della loro vita in Italia come se davvero fosse qualcosa di “altro”, e io stesso ho sperimentato le difficoltà di riadattamento dopo un soggiorno di tre mesi in questa specie di paese dei balocchi.. In parte gli acquisti mi hanno ripagato dei costi del viaggio . Tuttavia in Cina esiste uno standard molto differente per merci di largo consumo e per quelle di lusso. Cibo e vestiario sono tremendamente a buon mercato, mentre un I-pod e in generale l’elettronica di alta fascia costa quanto qui e non conviene per la inutilizzabilità a distanza della garanzia.

In genere i prodotti costosi, che lì comprendono l’elettronica di qualità e altri prodotti che in Occidente sono considerati beni a largo consumo, hanno un prezzo proporzionalmente più elevato rispetto ai beni primari come cibo e vestiario. In questo modo la differenza nominale espressa in valuta ( 1 a 3-4 ) dei redditi, tra città e campagna, è molto attenuata nella realtà del tenore di vita. Il che non impedisce anche al più povero dei lavoratori migranti di possedere un cellulare o a quasi tutti i passeggeri delle metro di esibire lettori mp3 al collo o telefoni futuristici. Le città sono fondamentalmente sviluppate, e ogni anno assorbono milioni di nuovi abitanti attingendo ai serbatoi di manodopera delle campagne. Queste ultime sono ancora sovrappopolate, e dopo 30 anni di politica di Riforma e Apertura, solo(si fa per dire) 545 milioni di persone vivono nelle città su un totale di più di un miliardo e 300 milioni(nota—-chinadailiy.com.cn), vale a dire che la Cina è ancora oggi un paese dove il 60% della popolazione vive nelle campagne, e continuerà ad esserlo fino al 2020, quando il tasso di urbanizzazione raggiungerà la soglia del 50%.
La sola Pechino deve aumentare la superficie abitativa di 10 milioni di metri quadrati ogni anno e le aree urbane nel loro complesso formano più del 70% del Pil cinese.

Dopo la prima settimana ho iniziato a frequentare alcuni italiani tra quelli più alla mano. Gente simpatica, ma non molto interessata allo studio della lingua. Conducevano una vita piuttosto turistica fatta di lunghe ore trascorse nei ristoranti, serate fuori nei locali, massaggi nei centri estetici e uso smodato dei taxi rispetto a metro e bus.
E qui entriamo nell’argomento traffico. Cominciamo dai 60.000 taxi presenti nella capitale.
I tassisti cinesi sono una delle categorie più odiose, non tanto per il tipo di lavoro molto stressante che fanno, quanto per il modo tranquillo e riprensibile con cui guidano. Non è che superino i limiti, ti strapazzino con brusche frenate o rapide accelerazioni. No, hanno una guida regolare e sicura. Il fatto è che non hanno alcun rispetto per i pedoni che attraversano la strada. Vogliono passare a tutti i costi agli incroci e se provi a passare sulle strisce ti strombazzano o ti fanno i fari. Quando attraversano un incrocio svoltando, e per i pedoni scatta la luce verde, ti tagliano quasi la strada, ed è una gara tra i pedoni che vogliono attraversare e loro che ti passano davanti quasi salendoti sui piedi.
Molto economici, i taxi ti portano ovunque lo permetta la rete stradale di Pechino, che è impressionante. D’altronde Pechino è una città spaziale: 5 raccordi anulari concentrici, strade a 4 corsie ovunque, una rete capillare che ti porta dove vuoi a colpi di sopra e sotto-passaggi, ponti urbani e autostrade in pieno centro. Quella italiana non regge assolutamente il confronto. Ciononostante il traffico è un problema anche lì, soprattutto al mattino in una megalopoli di più di 10 milioni di abitanti come Pechino. La maggior parte delle auto è costituita da taxi. Seguono, distaccate di molto, auto aziendali e private, il che dà l’idea di quanti siano i taxi nella capitale cinese. I veicoli sono generalmente alimentati a gas. Questo riduce di molto l’inquinamento, soprattutto d’estate quando i riscaldamenti a carbone rimangono spenti.
Le metropolitane sono quattro, di cui due meno recenti e altre due di nuova costruzione. Sono rapide ma non troppo economiche per i cinesi(un biglietto di sola andata costa tra i 30 e i 40 centesimi di euro cioè 3-4 yuan), e servono la zona del centro con tre diramazioni verso l’ovest, il nord e l’est della città. E’ in costruzione la quinta linea, che raggiungerà alcune tra le molte aree ancora non coperte dal servizio. Tuttavia le linee attuali raggiungono anche le periferie più lontane, considerando che il quartiere universitario è esso stesso in una zona semi-periferica. Tutti pagano il biglietto che va esibito agli addetti strappa-biglietto all’entrata delle stazioni delle vecchie linee; nelle nuove, invece, il biglietto va inserito nelle vidimatrici sia all’entrata che all’uscita(altrimenti resti dentro). Non esistono abbonamenti o altro, il biglietto è standard. Nelle nuove stazioni, sulle banchine (yuetai), a terra sono disegnate delle frecce, che indicano esattamente il punto della piattaforma in corrispondenza del quale si apriranno le porte del treno, il che evita la classica “rincorsa alla porta”, tipica da noi.
I vagoni delle linee 1-2 sono più vecchi ma funzionano perfettamente, comprese le luci e gli altoparlanti che avvertono delle varie stazioni, mentre il sistema di aerazione utilizza dei grandi ventilatori a soffitto incassati. In questo modo l’aria circola, più che nelle metro di Parigi, Londra e Roma.
Come a Londra mancano gli ascensori nella maggior parte delle stazioni.
I bus sono a torto circondati da cattiva fama e schivati dai turisti(che si immaginano un miliardo di cinesi stipati in una sola vettura!). Molti sono vecchi, arrugginiti all’esterno. Altri invece sono nuovi e silenziosi e fanno un’ottima impressione. Normalmente frequenti e rapidi, viaggiano quasi sempre su corsia preferenziale(accanto a quella per le bici) e arrivano in ogni strada o vicolo della città.
Anche in questo caso pagano tutti il biglietto perché, come da noi un tempo, su ogni autobus è presente un bigliettaio(implacabile, puntiglioso, urlante)che annuncia i nomi delle varie fermate e controlla che tutti paghino il dovuto. Economici, i biglietti costano 20 centesimi di euro(2 yuan).
Mercati e supermercati.
In Cina sono stato da Wal Mart, la grande catena di supermercati americana. In Italia non esiste, per cui ammetto di averlo visitato più per curiosità che per fare acquisti. Si trova vicino alla fermata della linea nord di Zichunlu. E’ costituito da un grande edificio color grigio metallizzato e si sviluppa su tre piani. L’ho visitato ad un orario di scarsa affluenza nei supermercati per non trovare troppa calca, verso le due e mezza del pomeriggio(ho ancora gli scontrini delle pile elettriche). Ciononostante non era esattamente vuoto, c’era gente anche a quell’ora. Effettivamente le merci vendute non erano di gran qualità all’apparenza, in genere marchi sconosciuti ed economici in perfetto stile Wal Mart. La cosa che però mi ha colpito è la presenza, all’interno, di una gamma vastissima di prodotti. Dalle valigie alle biciclette all’abbigliamento, dal reparto ortofrutticolo al forno, al reparto ittico di pesce vivo. Ricordo ancora i gamberi nuotare rapidi nell’acqua delle vasche. Tartarughe e una gran quantità di ingredienti tipici della cucina cinese. Telefoni e digitale(e mentre sei sulle scale mobili hai, ai lati, degli scaffali a scalare con offerte speciali per fare acquisti sfruttando i tempi morti!).
Da noi i supermercati sono specializzati in generi alimentari, e gli altri prodotti vengono venduti in catene separate o sono ancora appannaggio di esosi negozietti. Lì invece puoi acquistare “dall’ago all’elefante”in un solo centro della catena.
Ho iniziato con Wal Mart per seguire un ordine basato sulla grandezza dei rivenditori. Tuttavia anche i supermarket cinesi a capitale nazionale, statali o privati, sono ben degni di attenzione. Sono meno noti e meno individuabili dal consumatore che magari vi fa acquisti senza saperlo. Ad esempio so che il famoso e già citato Silk Market è posseduto da una catena di supermercati locale ma conserva un’apparenza cooperativa autonoma, con i suoi mille stand interni che all’apparenza sembrerebbero indipendenti anche sul piano dei rapporti proprietari.
Alcuni sono dei veri e propri shopping mall mastodontici, come il Golden China Resources Mall, che, con i suoi 560.000 metri quadrati (e 20.000 addetti)è oggi il più grande centro commerciale del mondo, con oltre mille negozi e migliaia di venditori. E’ costituito da un unico colossale edificio a 5 piani e sviluppa una lunghezza di sei campi da football, addirittura grande più di una volta e mezza il Pentagono a Washington ( 344.000 metri quadri). E con il reddito medio annuale cinese che quest’anno ha superato la significativa soglia dei 1100$, +50% rispetto a quello del 2000, si capisce bene perché questi stores facciano ottimi affari(Dati Herald Tribune 25-05-05).
Vicino all’università c’è un supermercato meno mastodontico ma lo stesso ben fornito di prodotti che vanno dall’alimentare alla vendita di pentole e materiale sportivo. E’ pieno in tutte le ore del giorno tanto che è obbligatorio lasciare zaini e contenitori nel guardaroba prima di entrare per evitare furti nella calca. La clientela è costituita in maggioranza da persone non ricche, di medio reddito e da pensionati con un fare che ricorda altri tempi.
Nel quartiere di Wudao Kou c’è anche un grande mercato rionale che vende prodotti ortofrutticoli ma che osserva orari decisamente incompatibili con quelli dei corsi universitari. Tutte le volte che ci sono passato vicino era chiuso, al contrario dei mille negozietti che fanno del quartiere uno dei meglio forniti ed economici della città nella compravendita di biciclette.
Presenti anche i piccoli rivenditori, con prezzi sottobanco economici ma con un servizio clienti da rovinare la salute dei consumatori.
Locali
La Cina è il regno di hip pop e R&B. Eminem e accoliti regnano sovrani nelle migliaia di discoteche in ogni quartiere della città. Ed esistono anche quartieri solo di locali come “San Li Tun” nella zona est. E vanno dal piccolo “Propaganda” di Wu Dao Kou al mastodontico “Mix” vicino allo Stadio dei Lavoratori(è lo stadio di calcio). In particolare quest’ultimo locale mi ha stupito per le dimensioni, costruito su due piani ma con enormi sale adiacenti. 50 yuan di ingresso (5euro), timbro con inchiostro trasparente fotosensibile e tanti tanti giovani all’apparenza tra i 17-18 anni di età fino agli universitari.
Pub come il mitico “Lush”, sempre in Wu Dao Kou a due passi dal “Propaganda” e dall’università.
In particolare questo pub mi ha colpito perché è sì cinese, ma alcune serate vengono gestite da una specie di associazione di studenti stranieri di origine anglosassone che organizza giochi di quiz a squadre su argomenti di cultura generale o specifici. Ricordo una delle organizzatrici perché risposi ad una domanda che lei fece sul nuovo libro di Harry Potter che usciva in tutto il mondo in quel periodo, avendolo già acquistato lì e letto nell’edizione inglese. Lei non l’aveva ancora sfogliato, e mi pregò di non “disclose”, “rivelarle”, alcun particolare al riguardo per non rovinarle la sorpresa. Fu la stessa sera in cui ricordo di essere stato lì insieme alla mia coetanea tutoressa di cinese Yu jing, una minuscola e coltissima studentessa di pedagogia laureata a Nanchang nel sud della Cina (provincia del Jianxi) prima di venire a Pechino per frequentare un corso post graduate. A gennaio deve sostenere gli esami di ammissione a un concorso che, se superato, la abiliterà a vari tipi di insegnamento.
E nello stesso Lush, una sera, mi è capitata una cosa davvero buffissima. Era un martedì, se ben ricordo, serata in cui si esibisce regolarmente in quel locale un gruppo proveniente dalla regione autonoma nord-occidentale del Xinjiang (nuovi territori), la regione dove è presente una minoranza Uigura(tra le più consistenti di quelle della regione insieme a kazaki, ecc..)da cui provenivano i membri del gruppo. Ora… alcuni di loro avevano i tratti somatici tipici delle minoranza turche e uralo-altaiche, vale a dire tratti molto simili a quelli occidentali, altri invece tratti misti tra questi e quelli cinesi. Quella sera ero capitato lì per caso e a concerto iniziato, non sapendo che si trattasse di serata a musica etnica. Tra l’altro la cosa interessante è che quel tipo di musica è basato su strumenti a noi ben noti come chitarre classiche e acustiche, jambé e voce. Appena entrato nel locale mi raggiunge il suono di melodie latino-spagnoleggianti, con testi cantati in uno spagnolo perfetto. “Volare, oh,oh” in stile maradoniano e successoni internazionali della musica latina, insomma, almeno nella musica, niente all’apparenza di cinese. Inoltre i membri “mulatti” del gruppo assomigliavano tremendamente a degli indios latino-americani per la compresenza insieme di tratti occidentali e asiatici. Il cantante di origini totalmente uigure poteva invece essere facilmente scambiato per un creolo sudamericano dai tratti spagnoli. Mescolate il tutto e capirete bene il mio stupore quando a fine concerto, già insospettito dagli scambi di battute in uno spagnolo insolito, li sento scherzare e punzecchiarsi in perfetto cinese e rispondersi in dialetto presumibilmente uiguro… altro che spagnoli, erano cinesi fino all’osso!
E questo è solo uno dei tanti possibili mix culturali, una delle tante possibili confusioni che ingenera la capitale della Terra di Mezzo, una città incredibilmente aperta e internazionale, piena di vita, fatti, eventi economici, sociali e di costume e che tuttavia conserva i ritmi spartani e tranquilli della Cina del Nord, con quei suoi abitanti che incedono con passo lento e regolare, con quello sguardo civilizzato e disponibile. Difficile dominare la città, infiniti gli aspetti da sperimentare e raccontare, dal suo tessuto urbano e architettonico al suo essere il centro politico, più che economico, di tutta la nazione. Il socialismo di mercato è stato inventato qui, ed è da qui che le principali direttive decisionali si diramano nei centri governativi locali, fin troppo autonomi nelle altre sfere. Come recita un antico detto cinese che tutt’oggi molti amministratori locali farebbero proprio, “Pechino è lontana”.
All’inizio di settembre, concluso il corso e passati gli esami all’università, mi sono preso un po’ di relax. Prima ho dovuto trovarmi una nuova sistemazione. Ho vissuto con una famiglia cinese per alcuni giorni, prima di trascorrere una settimana nella città più moderna e dinamica della Cina, Shangai.
Sono partito da solo, confidando solamente nel mio cinese (e con un contatto da utilizzare in caso di problemi). Ho preso il diretto Pechino-Shangai che impiega 12ore esatte per compiere il percorso,dalle 19:00 alle 7:00 del giorno dopo.
Il mattino successivo ho potuto ammirare i canali e le verdissime aree coltivate poco prima di entrare nelle zone abitate e in stazione. Che caldo soffocante, e pensare che il 18 settembre a Pechino si sarebbe festeggiata a la “zhong qiu jie”, la festa di metà “autunno”! E’ stato davvero come se inseguissi l’estate.