Appello contro la sentenza discriminatoria della Corte Suprema Israeliana

COMUNICATO STAMPA

Domenica, 14 Maggio 2006, la Corte Suprema ha deciso di non annullare la Legge sulla nazionalità e le modalità d’ entrata in Israele del 2003 (decreto temporaneo). Hanno sostenuto la decisione sei giudici,
guidati dal giudice Mishael Heshin, mentre cinque si sono opposti,
guidati dal giudice Aharon Barak. I cinque oppositori della legge
avevano sottolineato la necessità di un annullamento della stessa, in
quanto palesemente in violazione del diritto all’eguaglianza e del
diritto a condurre una vita familiare in Israele.

Lo Knesset aveva emanato la legge nel 2003, adottando la risoluzione
del governo 1813, che vietava l’acquisizione di qualsiasi status in
Israele per i coniugi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza,
vietandone inoltre la richiesta di cittadinanza.

La nuova legge si riferisce esplicitamente all’identità etnica
dell’individuo, danneggiando i diritti garantiti di alcuni cittadini
su basi etniche o nazionali. E quindi, non solo discrimina sulla base
della affiliazione nazionale o etnica ed è intrisa di razzismo, ma
danneggia inoltre il diritto costituzionale all’eguaglianza di tutte
e tutti i cittadini di Israele.

Questa legge presuppone una chiara violazione dei diritti dei
cittadini arabi palestinesi di Israele. I cittadini arabi palestinesi
sono gli unici cittadini che sposano persone provenienti dalla
Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza. Da una parte, la legge detta
che a coloro provenienti dai territori occupati è¨ vietato abitare con
i loro coniugi cittadini arabi in Israele. Dall’altra parte, lo Stato
previene tutti i cittadini, inclusi gli arabi (a meno che non
rinuncino alla loro cittadinanza), ad entrare nei territori occupati
palestinesi, consideranti come aree militari chiuse. Per questo, la
legge, in totale armonia con la politica ufficiale di Stato, obbliga
la separazione delle famiglie arabe palestinesi.
Dall’introduzione della legge nel 2003, migliaia di famiglie sono
state forzate ad abitare illegalmente in Israele o a separarsi l’una
dall’altra. Soltanto due settimane fa, nelle prime ore del mattino,
le guardie di frontiera israeliane hanno fatto irruzione nella casa
di un cittadino arabo palestinese, Al-hajj Mohammad Sa’eed Al-Heen,
67 anni, a Qalansaweb. Lui e sua moglie, Mariam, di Qalqiliyah in
Cisgiordania, e i suoi figli, Dana e Awad sono stati minacciati con
armi e cani. L’intera famiglia, inclusi i bambini, sono stati
arrestati e deportati presso il centro di detenzione Eyal. La madre è¨
stata espulsa al checkpoint di Qalqiliyah e separata dai suoi figli e
da suo marito. Al-Hajj Mohammad al-Heen è stato obbligato a firmare
un accordo nel quale si sancisce il non rientro in Israele di sua
moglie.

Coloro che sostengono la legge usano la sicurezza come argomento di
legittimazione. Evidenziano che proibendo ai cittadini della
Cisgiordania e della Striscia di Gaza l’acquisizione di uno status
legale con il ricongiungimento familiare, si aiuta a prevenire la
partecipazione in attività che possano nuocere la sicurezza di
Israele. Questa è stata inoltre la spiegazione data dal procuratore
generale in risposta all’appello presentato nel luglio del 2003 alla
Corte Suprema Israeliana per l’annullamento della legge.

Va notato che le organizzazione che si occupano di diritto
internazionale e la Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite
e dell’Unione Europea hanno condannato la legge e ne hanno richiesto
la revoca, in quanto costituisce una palese violazione dei diritti
fondamentali dei cittadini arabi in accordo con la legislazione
internazionale in materia di diritti umani.

La maggioranza dei giudici della Corte Suprema hanno sancito che la
legge non viola i diritti costituzionali dei cittadini arabi
palestinesi in Israele per ciò che concerne gli aspetti
dell’eguaglianza e della creazione di una famiglia. Inoltre, anche se
la legge violasse tali diritti, il focus sulla sicurezza evidenziato
nella stessa giustificherebbe la violazione. Come il giudice Mishael
Heshin ha detto,

I benefici che la legge di cittadinanza offre in termini di sicurezza
e difesa delle vite dei residenti in Israele si pone come elemento
cruciale più della violazione che questa legge impone sulle vite di
alcuni cittadini dello Stato che sposano o sposeranno un palestinese
che richiede di poter vivere con il proprio coniuge in Israele

Comunque, la maggioranza che ha legiferato ha ignorato le motivazioni
reali che si celano dietro l’emanazione della legge, ovvero quelle
demografiche che significano il rafforzamento e la preservazione di
una maggioranza ebraica nello stato e la diminuzione drastica del
numero di cittadini arabi palestinesi all’interno dello stato stesso.
Il 14 Aprile 2005, l’ex primo ministro, Ariel Sharon, ha detto con
riguardo alla legge “Non c’è motivo di nascondersi dietro ragioni di
sicurezza, c’è il bisogno di realizzare lo stato ebraico”. In più, le
suddette motivazioni sono state chiaramente riflesse nella
discussione dello Knesset e delle sue commissioni ancora prima di
approvare la legge, come è stato menzionato nelle dichiarazioni di
dissenso del giudice Ayala Procaccia.

Nonostante l’argomento a valore della tesi sulla sicurezza sia
centrale, e sia vero, la maggioranza che ha legiferato ha comunque
negato la verità nelle diverse sessioni della Corte. Si è infatti
scoperto che in migliaia avevano ottenuto uno status in Israele, e
tra questi migliaia meno di trenta erano stati interrogati per motivi
di sicurezza. Ciò indica che la legge non è che una punizione
collettiva per tutti i cittadini arabi palestinesi, in flagrante
violazione del diritto internazionale e di quello israeliano stesso.

Prendendo questi fatti in considerazione, così come altre
dichiarazione fatte dal giudice Mishael Heshin nel passato in
relazione alla legge, l’Associazione Araba per i Diritti Umani (HRA)
sostiene di vedere chiaramente una motivazione di tipo demografico, o
meglio di pericolo demografico insito nella legge, piuttosto che una
motivazione di sicurezza, anche se la prima motivazione non trasale
chiaramente in nessun punto della sentenza.

Ciò che fa della legge, una legge severa è il fatto che non viene
applicata soltanto ai cittadini arabi che desiderano sposare un
compagno/a dei territori occupati palestinesi nel futuro, ma agisce
anche nel passato, in quanto ha valore retroattivo per le coppie che
si sono sposate e hanno creato famiglie un anno fa, e che oggi
abitano in Israele è un fatto che significa la frammentazione delle
famiglie palestinesi nel prossimo futuro.

L’HRA considera quanto accade un serio affronto ai più elementari
principi democratici che Israele dichiara di sostenere in relazione
al rispetto dei diritti umani del singolo e della collettività.
Quindi la Corte Suprema ha fallito in modo eclatante nella difesa dei
diritti umani della minoranza araba palestinese in Israele e il
diritto all’eguaglianza e il diritto ad avere una vita familiare. La
Corte Suprema ha negato questi diritti esplicitamente in un momento
in cui sarebbe dovuta intervenire per abrogare la legge che
esplicitamente viola i diritti dei cittadini su basi nazionali ed
etniche.

L’HRA richiama la comunità internazionale e tutte le organizzazioni
che lavorano per preservare la pace e i diritti umani, ad usare tutti
gli strumenti possibili, accettati a livello internazionale, per
eliminare questa legge razziale che offre delle solide basi per una
separazione razziale interna allo stato di Israele. L’HRA inoltre
sottolinea che questa legge costituisce una seria minaccia a
qualsiasi soluzione pacifica nella regione e per la coesistenza delle
due comunità nello stato.

Per info :

Mohammad Zeidan, Director
Arab Association for Human Rights (HRA)
PO Box 215, Nazareth 16101, Israel
Telephone: +972 (0)4 6561923
Fax: +972 (0)4 6564934
Email: [email protected]; [email protected]

PETIZIONE CONTRO LA SENTENZA DISCRIMINATORIA DELLA CORTE SUPREMA
ISRAELIANA

DA MIFTAH

20 Maggio 2006

Il 14 Maggio 2006, la Corte Suprema Israeliana ha votato, 6-5 in
favore degli emendamenti sulla legge di Cittadinanza e di Entrata in
Israele che vieta il ricongiungimento familiare per gli Israeliani,
in particolare palestinesi-israeliani, che sposano palestinesi della
Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Questa legge coinvolge e nuoce
decine di migliaia di coppie israelo-palestinesi, incluse quelle
dentro la linea verde e Gerusalemme, che sono soggette al diritto
israeliano e che spesso sposano palestinesi dei territori occupati.

Amnesty International afferma che questa legge viola il divieto
assoluto di discriminazioni contenute nel diritto internazionale in
materia di diritti umani, molti trattati importanti che la stessa
Israele ha ratificato ed è quindi obbligata ad adempiere, tra cui la
Convenzione Internazionale per l’eliminazione di tutte le forme di
discriminazioni razziali, il Patto Internazionale sui diritti civili
e politici, il Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e
culturali, e la Convenzione sui diritti del fanciullo.
Israele viola inoltre la Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo. L’art. 16 della dichiarazione dice, “Uomini e donne in età
adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza
alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione” e “La famiglia
è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad
essere protetta dalla società e dallo Stato”.

Inoltre, la Convenzione sulla Nazionalità delle donne sposate, di cui
Israele è membro, richiede ai paesi firmatari di far si che tutte le
donne straniere sposate a un cittadino dello stato, ottengano la
cittadinanza aiutate dai loro mariti, attraverso canali speciali e
preferenziali che accelerino le procedure di richiesta e ottenimento
della cittadinanza.
Noi chiediamo quindi di firmare questo appello diretto a diverse
parti interessate (il Coordinatore Speciale per il Processo di Pace
in Medioriente delle Nazioni Unite e i rappresentanti personali del
Segretario Generale, Il Quartetto per il Medioriente, la Corte
Suprema Israeliana di Giustizia e l’ufficio del Primo Ministro
Israeliano) affinchè questa legge venga annullata, in quanto
proibisce alle famiglie palestinesi di abitare in pace e prosperità
con i relativi coniugi in Israele e a Gerusalemme e che inoltre viola
tutte le leggi sull’umanità, che rispettano l’importanza centrale del
nucleo famigliare. Ciò è vero soprattutto per ciò che riguarda i
bambini e il loro diritto a crescere in un ambiente stabile senza
dover correre il rischio di essere deportati o attaccati sulla sola
base della nazionalità .

Per firmare la petizione ciccare sul seguente link:
http://www.miftah.org/Display.cfm?DocId=10294&CategoryId=15

Per ulteriori informazioni contattateci presso:
Media and Information Programme, MIFTAH
Tel: +972 2 585 1842
Fax: +972 2 583 5184
E-mail: [email protected]
Website: www.miftah.org