APPELLO AL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA SEN. CLEMENTE MASTELLA
SULL’EMERGENZA CARCERE
I dati sono ormai tristemente noti: il numero delle persone detenute in custodia cautelare e in esecuzione pena supera le sessantamila presenze (all’incirca il 55 % sono detenuti definitivi e il 45% sono in attesa della definizione del giudizio).
Altrettanto conosciuta è la composizione della popolazione carceraria, caratterizzata in gran parte da situazioni di disagio e di emarginazione, a volte aggravate da scelte politiche e legislative che hanno esasperato la consistenza dei problemi : il 27 % rappresenta, per difetto, l’area della tossicodipendenza , il 30% quella della immigrazione oltre ad una percentuale all’incirca del 10% rappresentata da altre situazioni di disagio (psichico, legato all’alcoolismo, ecc.).
Questi dati, citati anche da Alessandro Margara, già giudice di Sorveglianza e direttore generale degli istituti di prevenzione e pena, in una recente e migliorativa proposta di modica dell’ordinamento penitenziario (e quindi in totale controtendenza rispetto alla recenti proposte legislative), fanno ritenere che oltre almeno due terzi della popolazione carceraria si collochi in una fascia di disagio socioeconomico e psichico.
Si tratta in prevalenza quindi di detenzione a sfondo sociale, alla quale da tempo si risponde senza un progetto complessivo capace di ridurre sensibilmente il numero di coloro che ne fanno parte: il passaggio da uno stato sociale ad uno stato penale nei confronti della marginalità si sostanzia anche per il venire meno di una rete di protezioni e strumenti capace di prevenire e poi di riassorbire fenomeni di devianza.
Il sovraffollamento viene da tempo denunciato come l’effetto più evidente dei numeri sopra citati, e tale da determinare condizioni di vita intollerabili per la riduzione di spazi vitali, in un contesto già fortemente compromesso quanto a rispetto e tutela della integrità psicofisica della persona detenuta .
Le condizioni di sovraffollamento sono state definite come maltrattamenti dal Comitato europeo contro la tortura e i trattamenti inumani e degradanti: la privazione della libertà personale non può impedire la capacità di spostamento all’interno dell’istituto, o ancor prima nell’ambito della cella, negando in radice la possibilità di una vita dignitosa e comportando danni psicofisici alle persone.
La attuale situazione rischia di peggiorare ulteriormente per effetto della l. 251/2005 (ex-Cirielli) che, nell’introdurre la nuova disciplina in materia di recidiva, prevede l’inasprimento del trattamento sanzionatorio e di riduzione delle possibilità di accesso alle misure alternative delineando uno scenario di “tolleranza zero” nei confronti di quella detenzione sociale di cui si è detto, e a questo si aggiunge anche il non infondato timore di un aumento di provvedimenti restrittivi per effetto della nuova legge in materia di stupefacenti (n. 49/2006), laddove equipara le droghe leggere a quelle pesanti, aumentando le pene previste per le prime (e sia pure riducendo quelle per le seconde).
Il non lontano provvedimento (l. n. 207/2003) di sospensione condizionata della pena (cd. indultino), che aveva il condivisibile scopo di superare le difficoltà relative all’approvazione di un provvedimento di amnistia e indulto, non ha sortito, e non poteva essere diversamente, l’effetto desiderato di incidere in modo significativo sul sovraffollamento del carcere.
Come è noto il tanto auspicato provvedimento clemenziale di amnistia e indulto, che non viene più emanato dal 1990, è stato condizionato, nella passata legislatura, almeno in apparenza, dalla difficoltà di raggiungere la maggioranza richiesta dalla Carta Costituzionale ex art. 79 (due terzi), ma soprattutto dal contrasto sui reati che dovevano essere estinti in conseguenza del provvedimento di amnistia, con particolare riferimento alla soglia della pena edittale (4 anni nelle proposte del centrosinistra e 5 anni come
pena massima nei progetti del centrodestra, per far ricomprendere anche la corruzione per un atto di ufficio).
Ma non è allo stato possibile attendere oltre.
E’ indubbio che l’emanazione di un provvedimento di indulto comporta necessariamente una riduzione delle presenze in carcere, e trattasi di un provvedimento non più rinviabile, a cui deve accompagnarsi (o seguire nella peggiore delle ipotesi) un provvedimento di amnistia che riduca il carico giudiziario e ponga fine a quelle vicende processuali comunque destinate alla prescrizione.
Certo una politica di riduzione del sovraffollamento carcerario richiederà altri strumenti e ne siamo per primi consapevoli, ma l’insufficienza di un provvedimento di clemenza a risolvere la crescente carcerizzazione non è più un alibi accettabile.
La riduzione dell’area della detenzione sociale va di certo perseguita attraverso scelte di politica legislativa che non abbiano di mira, contro ogni evidenza, obiettivi di tipo ideologico e, si auspica, attraverso una complessiva riforma del codice penale e di tutta l’area degli illeciti penali nonché attraverso il recupero di quegli strumenti.
E’ di tutta evidenza obbligato l’intervento relativo alla revisione della normativa in tema di immigrazione sia per quanto riguarda i presupposti per l’ingresso sul territorio nazionale, sia per quanto riguarda, con riferimento al tema del carcere, le fattispecie penali.
Inoltre occorre che i cittadini detenuti e gli internati abbiano pari diritto ai cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione efficaci ed appropriate sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute nel Piano sanitario nazionale, nei piani regionali e in quelli locali applicando pienamente il D.L./vo 22 giugno 1999 n.230.
Ma le riforme hanno tempi che le attuali condizioni di vita all’interno del carcere non possono più tollerare e questo bisogna ribadirlo con assoluta chiarezza.
Bologna, 13 Giugno 2006
Avv. Angiolo Marroni – Garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio
Avv. Desi Bruno – Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna
Dott.ssa Maria Pia Brunato – Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Torino
Dott. Franco Corleone – Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze
Dott. Mario Fappani – Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Brescia