Molti probabilmente saranno rimasti perplessi di fronte a quanto ha dichiarato il biologo statunitense Garth Nicolson, in un’intervista al manifesto (del 14 ottobre), a proposito dei casi di antrace verificatisi negli Usa: “Ritengo che questo tipo di bioterrorismo abbia stretti collegamenti con gli ambienti della base militare di Fort Detrick, in Maryland, e con i laboratori di ricerca scientifica militare del governo americano a Boca Raton, in Florida”. Anche se ad affermarlo è uno scienziato di fama mondiale, molti si saranno chiesti: ma com’è possibile che, negli ambienti militari Usa, ci sia qualcuno che sparge spore di antrace nel suo stesso paese?
Che questo possa verificarsi lo dimostrano casi analoghi, ufficialmente ammessi dal Pentagono. Ricostruiamo sinteticamente la storia: il 23 dicembre 1976, l’International Herald Tribune dette notizia che, nel novembre 1950, l’esercito Usa aveva disseminato nella città di San Francisco dei germi per verificare le potenzialità di un attacco batteriologico da parte russa. La notizia, riportata in un trafiletto, non avrebbe avuto credibilità se non fosse caduta sotto gli occhi di un avvocato, Edward Nevin, il cui nonno era morto di una misteriosa malattia proprio nel novembre 1950.
L’avvocato Nevin sporse denuncia contro il dipartimento della difesa che, messo alle strette dalla corte di giustizia di San Francisco e da una commissione senatoriale, fu costretto ad ammettere la verità: dal 1950 al 1960, aveva volutamente effettuato almeno 239 disseminazioni di agenti batteriologici in luoghi molto frequentati. Tra questi, la metropolitana di New York che, in almeno due occasioni (il 7 e 10 giugno 1956), era stata contaminata con colture di bacilli immesse nei condotti dell’aria condizionata.
Tecniche analoghe erano state usate per infettare l’aeroporto di Washington e due tunnel sull’autostrada della Pennsylvania. Per infettare la baia di San Francisco, era stato invece disseminato dello spray da un aereo. Questi dati si trovano in documenti ufficiali del Pentagono, portati alla luce dalla sottocommissione sulle risorse umane del senato degli Stati Uniti (cfr. Us senate, Biological Testing Involving Human Subjects by the Department of Defense/Hearings before the Subcommittee on Human Resources, Washington, 1977).
I responsabili di Fort Detrick sostennero che gli esperimenti avevano scopo difensivo e che i microrganismi disseminati erano innocui e tuttalpiù potevano provocare piccoli disturbi. Ma si contraddissero, quando ammisero di aver verificato gli effetti dei germi monitorando l’aumento dei ricoveri ospedalieri in base a determinate patologie. Nessuno ha mai saputo quali siano stati i reali effetti di questi esperimenti compiuti su milioni di inconsapevoli cavie umane, né se sono stati in seguito ripetuti (cfr. F. Santoianni, L’ultima epidemia, Ecp, Firenze, 1990).
Su questo sfondo, è allarmante che il presidente Bush abbia stracciato, tra i vari trattati, proprio la Convenzione internazionale sulle armi biologiche del 1972 ratificata anche dagli Usa, rifiutandosi di sottoscrivere l’accordo che autorizza ispezioni nei laboratori (il manifesto, 26 luglio 2001). E’ inquietante il fatto – rivelato dal New York Times il 4 settembre, una settimana prima degli attentati terroristici – che un’agenzia del Pentagono abbia costituito nel Nevada un laboratorio segreto in cui “simula” la produzione di agenti patogeni per la guerra biologica. E’ ancora più inquietante ciò che hanno dichiarato al New York Times funzionari della difesa: “Il Pentagono ha redatto, agli inizi di quest’anno, un piano per produrre con l’ingegneria genetica una variante potenzialmente più efficace del batterio che provoca l’antrace, una malattia mortale ideale per la guerra batteriologica” (il manifesto, 6 settembre 2001).
Risulta quindi fondata l’ipotesi di Garth Nicolson che gli atti di bioterrorismo possano avere una matrice interna agli Stati uniti. “Ho forti dubbi -egli sottolinea – che qui siamo in presenza di atti di bioterrorismo perpetrati da terroristi esterni. In questo piano, che ha un’orchestrazione, c’è dell’altro”. Che cosa? E’ difficile dirlo, ma intanto se ne vedono gli effetti. Il virus più efficace che i bioterroristi stanno disseminando negli Stati Uniti e nell’intero Occidente è quello della paura: esso attacca le menti, impedendo di ragionare sui reali motivi della guerra, e scatena istinti ancestrali di aggressività contro la minaccia di un nemico che – ha detto Bush – “si nasconde nell’ombra” e assume sembianze via via diverse (oggi quella di bin Laden, domani nuovamente quella di Saddam Hussein, poi un’altra ancora). Si è aperta così la caccia duratura all’untore del 21 secolo.