Antonio Labriola, il pensatore militante che ha “tradotto” Marx

Se si sfoglia l’album di famiglia del marxismo italiano tra i nomi eccellenti non può mancare quello di Antonio Labriola. E’ un primato che deriva soprattutto dalla funzione inaugurale di questo intellettuale, il primo a essersi posto il compito di come tradurre il marxismo nella nostra lingua filosofica e politica. Non è esagerato vedere in Labriola il tipo di un nuovo intellettuale, nato dalla vecchia cultura risorgimentale ma proiettato nella modernità. Un intellettuale novecentesco ante litteram si potrebbe dire, al confine tra filosofia e politica, tra la tensione allo studio e al rigore scientifico, da un lato, e la passione alla militanza, all’azione, alla polemica, dall’altro. Il suo nome si è impresso accanto a quello di Gramsci, all’interno di un’unica, immaginaria linea di sviluppo del marxismo italiano. Ma sono bastate queste circostanze per garantire ai temi labriolani una presenza piena nel dibattito culturale? Sì e no. O solo in parte, almeno a giudicare dal ritratto complessivo che del pensatore e militante politico viene tracciato da un recente volume curato da Alberto Burgio, Antonio Labriola nella storia e nella cultura della nuova Italia (Quodlibet, pp. 384, euro 35), che raccoglie gli interventi di un convegno svoltosi a Bologna lo scorso anno in occasione del primo centenario della morte di Labriola.
Non si può ignorare che l’opera labriolana sia stata spesso trascurata, probabilmente anche per un certo clima teorico e politico avverso al marxismo. Nei centouno anni trascorsi dalla sua morte l’idea di socialismo ha attraversato vittorie e sconfitte, entusiasmi e delusioni, che hanno finito per influenzare la stessa vitalità teorica dello stesso marxismo. L’altra faccia della medaglia è che proprio i contorni vaghi e indefiniti che oggi circondano l’idea di socialismo rendano più urgente il bisogno di rivisitare e reinterpretare il pensiero labriolano. Tornare ai testi di Labriola – afferma con efficacia Renato Zangheri nella introduzione – significa definire innanzitutto cosa intendiamo oggi per socialismo. Dobbiamo rassegnarci a un profilo “minimalista” del marxismo, «inteso quale correttivo e strumento di integrazione e riequilibrio del sistema esistente»? Oppure «c’è una dottrina più organica nella sua pretesa completezza», una dottrina scientifica e autonoma?

Labriola avverte il problema. Si rende conto che è necessario approntare per il materialismo marxista una filosofia autonoma – ricostruita attorno al principio della praxis secondo cui il lavoro è principio d’ogni realtà -, una filosofia capace di resistere agli influssi dogmatici ed evoluzionistici della cultura positivistica del proprio tempo. Labriola teme il «neoutopismo» astratto e separato dalla concretezza dei fatti, ma dalla crisi non esce in direzione del revisionismo, non nega al marxismo la capacità di pensare scientificamente la storia e la società del futuro.

Labriola ha una formazione filosofica fulminante che lo porta alla cattedra universitaria poco più che trentenne. E’ allievo di Bertrando Spaventa, nel suo percorso di studi incontra Spinoza e Giordano Bruno – come spiegano Francesco Cerrato e Simonetta Bassi. Eppure, quand’anche votato a una gratificante carriera accademica, si mostra insofferente alla chiusura delle aule universitarie. «La strada percorsa da Labriola per giungere al marxismo non fu in senso stretto quella della filosofia», scrive Girolamo Cotroneo. Il suo socialismo fu «frutto di esperienze pratiche», con le quali poco avrebbero a che fare le letture spinoziane o l’hegelismo italiano. Del marxismo, come già accennato, vive la crisi teorica. Partecipa al dibattito europeo, è interlocutore privilegiato di figure del calibro di Engels e Kautsky, Bebel e Liebknecht, Bernstein e Sorel, Zeller e Jhering. E’ tra i protagonisti anche del dibattito che si accende a ridosso della pubblicazione del terzo volume del Capitale dopo la morte di Marx. Secondo la teoria del valore, nei settori dove maggiore era l’uso di macchine, i profitti sarebbero dovuti scendere in conseguenza del minore (in apparenza) impiego di lavoro umano. Ma, contrariamente alle aspettative, i capitalisti preferivano investire proprio nei rami più meccanizzati. Labriola intuisce il rischio di un revisionismo che attacchi alle fondamenta l’edificio teorico del marxismo, teme l’azione oscura di «trame» e «intrighi» che abbiano per intento quello di creare «confusione e disorientamento nelle file del movimento operaio». Per questo spingerà – spiega Mauro Visentin – il giovane, promettente e rigoroso allievo Benedetto Croce a cimentarsi con gli studi di economia politica.

Con gli occhi del presente E poi c’è il Labriola Sarà questo, non a caso, uno dei punti della riflessione labriolano al quale maggiormente si richiamerà il Gramsci dei Quaderni. «Il primo terreno sul quale si colloca l’attenzione di Gramsci per Labriola – scrive Alberto Burgio – è di ordine filosofico e politico: Labriola è il filosofo marxista, al quale è riconosciuto il merito teorico di aver prodotto una interpretazione del materialismo storico in controtendenza rispetto alle derive revisionistiche di varia natura e (per ciò stesso) all’altezza dei compiti politici del movimento operaio».

A Gramsci non sfuggirebbero le conseguenze politiche del ragionamento di Labriola: pensare correttamente il marxismo come filosofia autonoma significa gettare le basi per l’autonomia politica della classe e del movimento operaio. E’ una svolta teorica che produce un salto di qualità nella politica, senza la quale non è possibile – Gramsci lo sa bene – affrontare il problema della «costruzione di un nuovo Stato, corrispondente alla formazione sociale che sorgerà dopo il superamento del capitalismo». Nell’attenzione alla teoria Gramsci vede il ruolo pratico dell’ideologia – tema ripreso anche da Roberto Finelli – nella lotta di classe e nell’innalzamento del soggetto da moltitudine sparsa a classe consapevole del proprio agire. Ed è sempre nella teoria che trae forza la sensibilità labriolana per la storia, per l’accertamento dei fatti, per l’orientamento dell’uomo e della lotta politica all’interno del mondo – come mettono in luce, con accenti diversi, Gabriele Turi, Elisa Guidi, Giuseppe Cacciatore, Beatrice Centi, Aldo Zanardo e Salvatore Tinè. Soprattutto su questo versante, Labriola sarà capace di partecipare ai dibattiti europei tra marxisti senza mai staccare lo sguardo dalla storia nazionale di un’Italia stretta tra arretratezza e modernità.