Antisemitismo? Parliamo dell’occupazione

Parto dal presupposto che poche sono state le occasioni in cui il manifesto si è coinvolto con tanta energia e dedizione nella discussione sull’antisemitismo (dei pacifisti). Una discussione approfondita del fenomeno sarebbe auspicabile, ma accettare il compito di farsi «teatro» di questo dibattito da parte del giornale non può che essere percepito come l’ammissione di una colpa, imposta dall’esterno. In fin dei conti, in un modo o nell’altro, tutti quanti siamo un po’ antisemiti, ebrei inclusi. Veramente crediamo che la sinistra pacifista, europea o altra, che è impegnata senza se e senza ma contro le guerre preventive e per i diritti e le libertà di tutti i popoli, richieda una verifica di questo tipo? Per di più mentre il resto della società politica, da Fini, a Bossi, da Ferrara (Giuliano) a Sofri e tanti altri, non s’interrogano mai sulle tendenze che sottostanno al loro appoggio alle guerre e alle violenze del berlusconismo. Perchè noi ci dovremmo sentire più esposti di loro alle accuse di antisemitismo solo per essere contro Sharon (e Peres), contro le esecuzioni mirate, contro il muro della vergogna, contro la violenza e il razzismo dei coloni? Posizioni queste che rappresentano l’unica piattaforma seria per salvare Israele da se stesso e per garantirne la sicurezza. Come dicono il seruvnik israeliani, «rifiutare per Israele», «rifiutare come atto sionista». (Per inciso voglio testimoniare che la generosità della sinistra pacifista italiana è stata cruciale per lanciare il movimento dei seruvniks in questo primo anno.)

Crediamo davvero che una conclusione qualsiasi uscita da questo dibattito possa ridurre le pressioni – strumentali – contro il pacifismo? Come ho detto prima, in questi termini esso, a mio avviso, suona in sè come un’ammissione di colpa, che senz’altro gioverà alla propaganda dei guerrafondai, ai sostenitori-difensori di Sharon-Bush, alla confusione che regna nei media monopolizzati. Non ci sarà da meravigliarsi se nelle prossime trasmissioni Tv, per contrastare, attaccare gente di sinistra, si useranno argomenti (tolti dal contesto) di questa discussione, con il valore aggiunto di avere l’etichetta del manifesto.

Quali potrebbero essere, bene che vada, i risultati di una tale profusione di energie che sarebbero ben più preziose se rivolte altrove in questo mondo e in questo paese? Possiamo davvero aspettarci che il dibattito porti ad un chiarimento del concetto psicologico-religioso-sociale di antisemtisimo, scovandone le nuove varianti «di sinistra», ovvero all’identificazione di comportamenti, manifestazioni, sentimenti – spesso subconsci -, che si sono propagati da millenni nelle società occidentali ? O ci si aspetta di colmare l’abisso tra le posizioni espresse da Bascetta, che passando per Adorno arriva a mettere al centro del problema il nazionalismo arabo (invece dell’occupazione israeliana) , e la lucida visione di Matteuzzi-Chiarini, che parte da 37 anni di persecuzioni, umiliazioni e privazioni dei palestinesi? Se questo fosse possibile, significherebbe la fine delle sostanziali differenze di visione del mondo e priverebbe di senso tutte le divergenze sociali-politiche che ci stanno tormentando. A mio giudizio ci vorrebbe un anno di polemiche, di gruppi di studio, per distinguere e demarcare le posizioni di Bascetta da quelle di Huntington & Co.

Ma forse non è questo lo scopo del dibattito. Bensì quello di dare una maggiore e diversa chiarezza, di fronte alle incessanti pressioni anti-pacifiste guidate dai portavoce di Sharon, a tutti coloro che corrono in Palestina-Israele in segno di solidarietà sia con i palestinesi oppressi, sia con i pacifisti israeliani che sognano la fine del conflitto con la fine dell’occupazione e dei suoi insediamenti, e con la creazione di uno Stato palestinese da cui potrebbe partire un futuro sensato.

Noto anche che tra i pacifisti israeliani di tutti i tipi, compresi quelli più moderati (Peace Now o Seruv), la questione dell’antisemitismo non viene mai sollevata a differenza di alcuni dei gruppi di sostenitori all’estero.

A mio avviso, questo tipo di discussione, che si identifica facilmente con l’ammissione del peccato originale (il nuovo antisemitismo a sisnistra), potrebbe finire per dissuadere militanti pacifisti dall’avvicinare o coinvolgere gente non ancora mobilitata su questa lotta o su quella contro l’occupazione dell’Iraq.

Se c’è oggi un pericolo – in qualche misura reale – di aumento dell’antisemitismo latente, esso, come dice Zolo, è nutrito soprattutto dal perpetuarsi dell’occupazione israeliana e dell’oppressione dei palestinesi. Ma questo pericolo, per quanto reale, non è ristretto alla sinistra. Il questionario della Commissione europea, per quanto potrebbe essere visto come indice di questa tendenza, non era indirizzato ai lettori del manifesto. La questione del rapporto tra l’opposizione intransigente all’occupazione israeliana e l’antisemitismo non è una questione teorica. Il tentativo di renderla tale, equivale all’indifferenza nei confronti della sofferenza dei due popoli coinvolti, che stanno sanguinando entrambi anche se non in misura uguale.

Dovrebbe essere chiaro a tutti noi, a cominciare dal manifesto, che il modo più efficace per fermare e seppellire il multiforme antisemitismo – e forse anche il terrorismo -, è, anziché impegnarsi in discussioni più o meno sterili, porre fine all’occupazione israeliana e trovare una soluzione decente alle rivendicazioni dei palestinesi.