Anp, vince Abbas. A Ramallah governo ai giovani

Dopo una notte di trattative Abu Ala cambia la lista dei ministri. Ma l’esecutivo del presidente arriverà solo dopo il voto di luglio

Il primo ministro Abu Ala alla fine ce l’ha fatta, ottenendo ieri mattina il voto di fiducia al suo governo da parte del Consiglio legislativo palestinese; ma ce l’ha fatta grazie all’aiuto del presidente Abu Mazen – che aveva tutto l’interesse ad evitare una crisi politica di vaste dimensioni in questa fase delicata – e dopo aver decisamente rinnovato la lista dei ministri, portando da dieci a diciannove, su venticinque, i nomi nuovi. Della vecchia compagine, in carica al momento della morte di Yasser Arafat, restano confermati, in due casi con cambio di portafoglio, soltanto sei ministri; i nuovi sono in maggioranza tecnocrati, alla loro prima esperienza governativa. Se guardiamo a questo dato, possiamo dunque dire che è stata esclusa quasi completamente dalla compagine la vecchia guardia arafattiana, ma il cambiamento in realtà non è tanto connesso al legame con il leader scomparso quanto a una precisa volontà di cambio generazionale, fra i “vecchi” che hanno di fatto gestito prima l’Olp e poi l’Anp per più di un trentennio e i quadri nuovi maturati soprattutto a partire dalla prima Intifada.
Un governo dunque nuovo come nomi, come ispirazione politica e come età. Un amico palestinese di vecchia data, deciso sostenitore del rinnovamento, mi ha detto ieri per telefono che, senza nulla togliere ai meriti e al valore simbolico di Arafat, si può comunque dire che «è saltato un tappo, e questo ha messo in movimento l’intera società civile e politica palestinese creando un dinamismo fino a ieri impensabile». E tuttavia quello che ha avuto ieri la fiducia non è ancora il governo “di Abu Mazen”, cioè della svolta implicita nella sua elezione a presidente; il “suo” governo verrà a luglio, dopo le elezioni per il rinnovo del Consiglio legislativo; quello attuale, non a caso diretto da un uomo della continuità come Abu Ala, è un governo di transizione, impegnato a gestire una fase che è anch’essa di passaggio sia nel rapporto con Israele che nella riforma istituzionale (ed anche di costume) dell’Autorità nazionale palestinese. L’impasse che si era registrata nei giorni scorsi è stata sbloccata mercoledì notte da un intervento di Mahmud Abbas che ha convinto i deputati di Al Fatah a votare la fiducia, dopo che il premier aveva ulteriormente rimaneggiato la lista. Così ieri mattina Abu Ala ha potuto incassare il voto favorevole del Consiglio: 54 deputati hanno votato a favore, 10 contro e 4 si sono astenuti; in tutto dunque hanno partecipato alla votazione 68 parlamentari sugli 88 che compongono il parlamento, con molte delle assenze dovute probabilmente alle difficoltà di movimento che ancora sussistono nei Territori e soprattutto fra Gaza e la Cisgiordania. Poco dopo la votazione il ministro degli Esteri israeliano Shalom si è rallegrato del suo esito definendolo «un primo passo, una tappa importante e positiva per un futuro migliore».

A questa valutazione di Shalom non è certo estraneo il fatto che nel governo ci siano in posizioni chiave due personaggi come il gen. Nasser Yussef, ministro degli Interni, e l’uomo forte di Gaza Mohammed Dahlan, ministro degli Affari civili con delega a trattare le questioni della sicurezza, che Mahmud Abbas aveva tentato di includere nel suo primo ed effimero governo della primavera 2003 e che sono ritenuti dagli israeliani (e dagli americani) decisivi per una riforma degli apparati di sicurezza dell’Anp. Della vecchia guardia oltre naturalmente ad Abu Ala, restano in carica Nabil Shaath, che però passa dal ministero degli Esteri a quello dell’Informazione con l’incarico anche di vice-premier; il ministro delle Finanze Salam Fayad, che gode buona reputazione negli ambienti finanziari internazionali; e il ministro della Pianificazione Ghassan Khatib, che proviene però da un altro dicastero; mentre esce invece di scena una figura chiave, nonché arafattiano storico, come il ministro per i Negoziati Saeb Erekat. Oltre ai due personaggi già citati – il gen. Yussef e Mohammed Dahlan – merita una particolare menzione il nuovo ministro degli Esteri, Nasser al Qidwa: 54enne, nipote di Arafat, sposato con una francese da cui ha avuto due figli, ha un curriculum di diplomatico che giustifica pienamente il suo nuovo incarico, anche nella prospettiva dell’auspicato rinnovamento. Già presidente dell’Unione studenti palestinesi, è entrato nel 1975 a far parte del Consiglio nazionale palestinese (il parlamento allora in esilio) per essere poi inviato nel 1986 a New York come numero due della missione dell’Olp all’Onu e diventare nel 1991 il rappresentante permanente della Palestina esercitando dinamicamente questo incarico per gli ultimi 14 anni. In tema di politica estera, un’altra annotazione significativa: Mahmud Abbas e Al Qidwa si apprestano a cambiare quasi tutti gli ambasciatori dell’Anp in Europa, incluso il Delegato generale in Italia Nemer Hammad che sarà chiamato ad altro incarico; una rosa di sostituzioni che, al di là del giudizio sulle singole persone, vuole essere un altro segnale di cambiamento. E non sarà certamente l’ultimo.