– LONDRA
Aluk Gerger, docente universitario turco, insegna anche in Germania oltre che ad Ankara dove vive. Lo abbiamo incontrato a Londra dove ha partecipato ad una serie di iniziative, tra cui la manifestazione contro la guerra di sabato scorso che ha visto oltre trentamila persone riunirsi a Trafalgar square.
La Turchia è un alleato importante per gli Usa, ma dopo gli attacchi a New York e Washington la prima reazione è stata di estrema cautela rispetto ad un possibile coinvolgimento…
Sotto questo regime la Turchia non può giocare alcun ruolo significativo nella guerra al terrorismo. Primo, perché il regime distorce il vero significato di terrore. Chi lotta per la libertà – l’opposizione di sinistra e le forze democratiche come i kurdi – viene etichettato come terrorista. Secondo, la Turchia non critica la violenza e il terrorismo imperialista, anzi lo condona. Terzo, il regime utilizza spesso il terrorismo di stato. Quanto all’aggressione al popolo afghano, è evidente che il governo non solo la sostiene ma vedrebbe anche con piacere un suo allargamento a paesi vicini come Siria, Iran o Iraq (a patto di non esservi coinvolto e ottenere vantaggi politici ed economici).
Altri paesi come il Pakistan e la Russia stanno offrendo il loro sostegno agli Usa ma a patto che gli americani non interferiscano più in loro questioni interne, come la Cecenia o il Kashmir. Crede che la Turchia stia cercando di fare la stessa cosa?
Non c’è dubbio che il governo in bancarotta voglia utilizzare la guerra specialmente per chiedere altri soldi al Fmi, alla Banca mondiale e agli Usa. Il governo piange lacrime di coccodrillo per le vittime degli attentati ma in realtà sta facendo i suoi calcoli a mente fredda su come beneficiare del terrore e dalla violenza.
Quale è stata la reazione dei partiti islamici e della gente in generale alla guerra?
La popolazione e i partiti islamici sembrano essere generalmente critici degli attacchi statunitensi contro l’Afghanistan. Sono certamente contrari all’allargamento della guerra ad altri paesi mediorientali e all’intervento diretto della Turchia nelle operazioni militari. Secondo gli ultimi sondaggi a condannare la guerra è tra il 75 e l’80% della popolazione. La sinistra turca e i kurdi sono certamente contrari sia alla violenza cieca dei diseredati della terra che al terrore imperialista. Sfortunatamente il governo vieta le manifestazioni e arresta la gente che protesta.
La Turchia sta attraversando un periodo di cambiamenti politici apparentemente rilevanti, come la decisione di emendare la Costituzione. Si tratta solo di un’operazione di facciata?
Sì, questi cambiamenti sono solo cosmetici, volti a soddisfare l’Unione europea, non certo a creare un sistema realmente democratico. E’ un modo per imbonirsi l’occidente. Al governo non interessano i diritti umani.
Come sono i rapporti tra i partner di governo?
Questo governo è diventato un’agenzia del Fmi dedicata ad attuare le politiche che esso richiede, uno strumento per imporre le direttive del Fmi. Il governo ha di fatto dichiarato guerra ai poveri. Ha sviluppato programmi per un ulteriore sfruttamento. In una situazione del genere i partiti della coalizione non vogliono nuove elezioni perché sanno che sarebbero sconfitti. Ostentano quindi una solidarietà obbligata.
E intanto la crisi economica imperversa…
La massa dei lavoratori si trova strangolata tra un’inflazione altissima, la svalutazione, la corruzione, la disoccupazione, la povertà e la repressione. Il Fmi impone alti tassi di interesse che creano una depressione che produce inflazione e disoccupazione di massa. E’ una tipica crisi di stagflazione.
Il mondo occidentale sembra essersi dimenticato della questione kurda e dei diritti umani…
Per la questione kurda, tutto è fermo. I kurdi hanno cessato la lotta armata e stanno facendo del loro meglio per aprire una fase democratica e pacifica oltre che partecipare alla vita politica del paese. Hanno dichiarato di voler prendere parte al processo parlamentare e politico e di volerlo fare in solidarietà e cooperazione con il popolo turco. Fino a questo momento l’unica risposta ottenuta è stata nuova repressione. Quanto ai diritti umani, è vero, la violazione continua ad essere sistematica, la tortura diffusa, i diritti politici negati.
E nel silenzio più totale continuano a morire i prigionieri politici e i loro familiari…
Una tragedia umana a cui mai si è assistito in un paese civile. Migliaia di prigionieri politici stanno resistendo contro i tentativi di rinchiuderli in celle di isolamento dove certo incontrerebbero la demolizione fisica e morale. Centinaia sono in sciopero della fame. Più di venti sono stati uccisi durante il trasferimento in queste carceri speciali. Più di quaranta sono morti per lo sciopero della fame. Oltre cinquanta sono ormai morti viventi, distrutti nel corpo e nella mente. Ma il regime, il governo, i media e il mondo, incluso il parlamento europeo, hanno deciso di non vedere e non sentire…