Lampedusa è un tappo di sughero in mezzo al Mediterraneo. Diversamente dalle più estese Canarie e dalle enclave spagnole di Ceuta e Melilla, non possiede il physique du role richiesto da Bruxelles: quello di frontiera militarizzata e filospinata della fortezza Europa.
Nelle ultime 24 ore sono giunti nell’isola 428 migranti a bordo di sei imbarcazioni. Il centro di permanenza temporanea può ospitarne al massimo 190. Altri 130 stranieri hanno messo piede sulle coste siciliane di Pozzallo (Ragusa) e Portopalo di Capo Passero (Siracusa).
Se gli sbarchi a Lampedusa come i morti in Iraq ormai annoiano il grande pubblico, è proprio sulle carrette del mare che gli Stati europei stanno costruendo – ognuno per suo conto, visto che non si tratta di una tematica comunitaria – la politica sull’immigrazione. Non importa se in Italia – e lo stesso vale per la Spagna – i migranti via mare costituiscono appena il 14% degli stranieri che ogni anno entrano nel nostro Paese.
La parola d’ordine è: difesa a oltranza delle frontiere. Con ogni mezzo, si potrebbe aggiungere: a cavallo tra settembre e ottobre del 2005 la Guardia Civil spagnola aprì il fuoco contro i migranti che in massa assaltavano le reti di Ceuta e Melilla. I morti accertati sono una decina. Dopo quegli episodi, Zapatero impose al Marocco un più feroce controllo delle frontiere, con il risultato di deviare il flusso migratorio verso la Mauritania e il Senegal: è da qui che ora i subsahariani si imbarcano in fragili cayucos per raggiungere le Canarie. Un viaggio lungo (1500 chilometri) e pericoloso: si calcola che almeno metà dei migranti perda la vita durante il tragitto. Che cosa ha ottenuto il governo di Madrid? Nel solo agosto 2006 sono giunti più stranieri che in tutto il 2005. Secondo alcuni calcoli, sarebbero 100mila i subsahariani giunti in Mauritania pronti a imbarcarsi verso la Spagna.
L’agenzia Ue per la protezione delle frontiere, la Frontex, da mesi pattuglia le coste della Mauritania accanto alle navi spagnole per intercettare le barchette. La frontiera europea, come un colabrodo, si sposta sempre più a Sud: ieri il premier socialista ha annunciato l’invio di aerei che controlleranno le partenze dal Senegal.
E’ proprio a Zapatero che Prodi scriverà una lettera – con la firma congiunta di Chirac – «per avere un calendario di iniziative nei prossimi consigli europei (il prossimo si terrà il 20 ottobre in Finlandia, ndr) sui temi dell’immigrazione e della cooperazione nel Mediterraneo perché l’Italia non può farsi carico da sola di questo problema».
Il termine “cooperazione” appare ambiguo. Finora i singoli Stati hanno firmato accordi bilaterali con i Paesi del Nordafrica per combattere l’immigrazione clandestina: i Paesi africani fanno da gendarmi in cambio di solidi aiuti finanziari. Chiaro è l’esempio della Libia, che preme per la costruzione di una autostrada costiera da parte dell’Italia come risarcimento del periodo coloniale. E nel frattempo, nonostante le strette di mano con il governo Berlusconi che ha portato alla costruzione di 3 Cpt nelle terre di Gheddafi, il regime di Tripoli pare non ponga alcun controllo sui trafficanti del porto di Zwara: dall’inizio del 2006 sono salpati da qui almeno 13mila migranti, giunti sani e salvi a Lampedusa. Gli altri, ma non se ne conosce il numero, sono affogati o morti di stenti.
Il 6 settembre è saltato il vertice di Malta tra il governo de La Valletta, l’Italia e la Libia. Il ministro degli Esteri libico Abdulati Alobidi si è infatti opposto strenuamente all’inizio dei pattugliamenti Ue (previsto per il 7 settembre) nelle acque della Libia. E’ un compito, ha ribadito con forza, che tocca esclusivamente a Tripoli. Spetta invece a Bruxelles fornire alla Libia tutti i fondi e i mezzi necessari alla repressione: elicotteri, fuoristrada, motovedette, pick up, visori notturni. Punto.
Difficile non pensare che Gheddafi stia mercanteggiando. Specialmente quando avverte che nel Paese si è riversato un milione di stranieri pronti a partire per l’Europa: non è necessario infatti alcun visto per entrare in Libia, e Malta chiederà che questo venga richiesto. Per spostare il confine europeo nel Sahara.
I Cpt di frontiera sono al collasso e chiaramente inadeguati ad affrontare un processo epocale come quello della migrazione. Lampedusa ormai è diventata il simbolo della violazione dei diritti umani. Non si contano le organizzazioni internazionali che hanno duramente condannato l’Italia per la gestione di queste strutture. Dopo la visita ai Cpt di Milano, Bologna, Trapani e Lampedusa, nel 2004 la Commissione Diritti umani dell’Onu invocò la «massima trasparenza» e l’assicurazione che «difensori civici, ong, avvocati e famigliari» dei detenuti potessero avere accesso. Amnesty ha denunciato la presenza di minori nei Cpt. Medici senza Frontiere la mancanza di igiene e cura per i migranti. Il Parlamento Europeo le deportazioni di massa da Lampedusa alla Libia. Il Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa ha fatto chiudere il Cpt di Agrigento.
Il ministro Amato ha istituito una commissione indipendente con il compito di verificare le condizioni dei centri italiani. La presiede l’alto funzionario Onu Staffan de Mistura e associazioni anti-razziste come l’Arci, Cir, Ics, Caritas, Comboniani, Sant’Egidio, Amnesty e Medici senza Frontiere. Qualsiasi sarà il dossier che la commissione compilerà, il governo Prodi non chiuderà i Cpt. Lo scopo, spiega Amato, è quello di umanizzarli e renderli più vivibili. Nel frattempo ne ha vietato l’accesso alla stampa.
Vivibili: basta botte e abusi, basta somministrazioni coatte di psicofarmaci, più pulizia e pasti caldi. Per i giuristi che si occupano di immigrazione lo scandalo non è questo. Non sono i suicidi ingoiando le lamette, non sono i richiedenti asilo detenuti come criminali, non sono le violenze. O almeno, non solo questi. Il punto centrale è il concetto di “detenzione amministrativa”, utilizzato da tutti i Paesi europei in deroga al principio che la limitazione della libertà deve essere applicato solo in casi particolari – di rilevanza penale. Alla libera circolazione delle merci non corrisponde la libera circolazione delle persone. Di tutte le persone, migranti inclusi.
Senza contare gli enormi costi per la protezione delle frontiere, del mantenimento dei Cpt, dell’espulsione coatta. Il 31 marzo 2006 il quotidiano inglese The Independent ci fece la prima pagina. Dati inconfutabili. In Gran Bretagna vivono dai 300mila ai 570mila migranti irregolari. Espellerli costerà 4,7 miliardi di sterline. Con la regolarizzazione, invece, pagherebbero allo Stato almeno un miliardo di sterline, corrispondenti a 300 nuove scuole, 12 ospedali e allo stipendio di 200mila infermieri. Non solo: il 50% degli stranieri lascerà la Gran Bretagna spontaneamente a 5 anni dal loro arrivo. Certo, un approccio utilitaristico: i migranti vanno accolti non per spirito umanitario, ma perché servono all’economia. Sembra l’unico linguaggio comprensibile all’interno dell’Unione Europea.