Ancona, tute blu in piazza contro vendita Fincantieri

«Nonostante tutto c’è molto entusiasmo trai lavoratori, siamo convinti di poter fermare la privatizzazione di Fincantieri». Così Michele Giacché, Fiom, dopo l’iniziativa di ieri dei cantieri di Ancona, a seguito di uno sciopero di due ore e mezza dalle 9 alle 11,30. Un corteo di più di 400 dipendenti – «il 90% del personale operaio» ci tiene a precisare il sindacalista – ha attraversato il centro della città fino alla sede del Municipio, dove i lavoratori hanno chiesto e ottenuto la convocazione di una sessione straordinaria del Consiglio comunale aperto anche alla cittadinanza. Perché quest’azienda rappresenta una risorsa fondamentale per Ancona e il suo porto, dove dà lavoro a circa 2mila persone. Ma non per tutti sono rose e fiori: a parte i 630 insediati nell’impianto, i 1400 operai dell’indotto primario operano in condizioni di precarietà e scarsa sicurezza, e sono quasi tutti migranti di tutte le etnie, spesso costretti a vivere ammassati in stabili fatiscenti. E se il 49% di Fincantieri venisse messo sul mercato – come previsto nel piano industriale – moltissimi di loro rischierebbero il posto. Inoltre potrebbe materializzarsi lo spettro della delocalizzazione verso stabilimenti low-cost, con Romania o Ucraina indicate come possibili destinazioni.
Il corteo di Ancona si inserisce nella serie di iniziative promosse dalla Fiom a livello nazionale contro la privatizzazione e la quotazione in Borsa di Fincantieri, un rischio mortale per un’azienda con una redditività industriale strutturalmente bassa, intorno al 2%, che se fosse quotata dovrebbe attestarsi almeno tra il 10 e il 15%. Fincantieri è tuttora un’azienda pubblica in ottima salute. Un capitale pubblico umano e industriale che contribuisce alla ricchezza dello Stato ed esporta l’80% della produzione. Ma i lavoratori temono che faccia la fine di Telecom o di Alitalia. Lo diranno anche a Prodi a cui sarà consegnato il loro appello nel corso della manifestazione nazionale a Roma del 15 giugno.