Anche in Lituania i comunisti al bando e i nazisti esaltati come “eroi nazionali”

Mentre si proibisce l’attività del Partito Comunista, un tribunale locale sentenzia che la croce uncinata rappresenta “parte integrante del patrimonio storico nazionale”. E l’Unione Europea continua a far finta di niente.

Nel nostro paese – come del resto in tutti gli altri paesi del nostro continente – pochi sono al corrente che anche in Lituania – repubblica baltica ex sovietica, da anni membro fedelissimo della NATO e ammessa nell’Unione Europea – da tempo è in corso una campagna di criminalizzazione dei partiti e dei simboli comunisti e di ogni riferimento alla storia sovietica, accompagnata dalla riabilitazione della cosiddetta “resistenza nazionale lituana”, che ha collaborato con i nazisti nella repressione del movimento partigiano e nello sterminio della locale comunità ebraica.

Con la decisione delle autorità lituane di procedere a una revisione costituzionale nel giugno del 2009, denunciata, nella più totale indifferenza dei mezzi di comunicazione europei, solo dal Partito Socialista (che raggruppa i comunisti dopo la messa fuori legge del Partito comunista nel 1991 e l’arresto di diversi suoi dirigenti, alcuni dei quali, anche ultrasettantenni, sono stati condannati a oltre 10 anni di carcere, quasi interamente scontati, al tempo della presidenza di Vytautas Landsberghis, insignito della cittadinanza onoraria di Torino, insieme al Dalai Lama, evidentemente per i suoi “meriti” di anticomunista, e in seguito del “socialdemocratico” Brazauskas), è oggi possibile perseguire penalmente e condannare a pene fino a 5 anni chiunque neghi “i genocidi commessi dal comunismo e dal nazismo” e “diffami i combattenti della lotta per la libertà della Lituania che, dal 1944 al 1953 si sono battuti con le armi contro l’occupazione sovietica”.

Come si può ben capire dalle motivazioni della decisione, è evidente che i destinatari della campagna repressiva sono, ancora una volta, i soli comunisti, dal momento che i “combattenti per la libertà lituana”, considerati alla stregua di eroi nazionali, non hanno esitato a militare nelle file del collaborazionismo e nelle legioni delle SS, rendendosi responsabili, al servizio di Hitler, delle più efferate atrocità. I più giovani sostenitori dei criminali di guerra, dunque, possono sicuramente dormire sonni tranquilli e agire indisturbati.

Una conferma del carattere anticomunista e di riabilitazione del passato nazi-fascista del nazionalismo lituano, proprio della revisione costituzionale in corso, è venuta in questi giorni da una sorprendente decisione di un tribunale locale, nella città di Klaipéda, oscurata anch’essa dall’apparato mediatico continentale e dalle istituzioni comunitarie, le stesse che, in nome della democrazia e dei diritti umani, negli ultimi mesi non hanno esitato a scatenare una campagna propagandistica contro Cuba.

Il 19 maggio, decidendo sulla sorte di tre neonazisti che, durante la giornata dell’Indipendenza, nel febbraio scorso, avevano sventolato bandiere con la croce uncinata e scandito slogan anticomunisti, antisemiti e inneggianti al Terzo Reich, i giudici hanno sentenziato che costoro dovevano essere assolti e liberati perché la “croce uncinata è parte integrante del nostro patrimonio storico, un simbolo importante della cultura baltica, ereditato dai nostri antenati”.

Si tratta di un verdetto che finora non sembra essere stato ostacolato dagli organi supremi della magistratura lituana e avere suscitato il minimo scandalo dei governi e delle strutture giudiziarie dell’Unione Europea. Una sentenza che sancisce in modo inquietante, in nome della denigrazione del passato sovietico e del nazionalismo più fanatico, la completa riabilitazione del nazi-fascismo.