Sulla guerra al terrore è scontro aperto tra i poteri costituzionali: e il Congresso prepara una commissione speciale d´inchiesta
Sulla guerra al terrorismo è ormai scontro aperto tra i poteri costituzionali
Il Congresso si prepara a varare una speciale commissione d´inchiesta su Bush
Con la soffiata di una “gola profonda” e la lettera amara di un giudice sdegnato e dimissionario, il nuovo atto di un classico dramma costituzionale e un ennesimo pasticciaccio per la presidenza Bush va in scena sul più grande e serio teatro politico del mondo, Washington. La lotta fra potere esecutivo e potere legislativo, tra sovrano e parlamento, tra necessità e legalità, ricomincia con la rivelazione delle intercettazioni elettroniche non autorizzate, e forse illegali, su cittadini americani «sospetti». Intercettazioni per cui secondo alcuni esperti la poderosa Nsa, la sorella elettronica della Cia, avrebbe rivolto sul territorio degli Stati Uniti le penetranti antenne di Echelon, la rete mondiale messa in piedi per intercettare terroristi e “governi canaglia” di mezzo pianeta.
Nessuno osa ancora appiccicare il solito e stucchevole suffisso “gate”, come Watergate o Monicagate o Ciagate, alla operazione del Grande Fratello rivelate dal New York Times, e se il nome maledetto di Richard Nixon già comincia ad affiorare, non si sfodera ancora l´arma nucleare dell´impeachment. Ma quando, ieri mattina, il giudice Robertson di Washington, uno degli undici giudici speciali addetti alle intercettazioni elettroniche e scavalcato da Bush nel nome della “guerra al terrore”, si è dimesso per protesta contro l´abuso di potere presidenziale, le antenne della politica americana hanno cominciato vibrare intensamente. E le vibrazioni sono divenute bufera dopo che il vice di Bush, Dick Cheney, il “cattivo” designato della coppia presidenziale, ha detto senza fronzoli che questa decisione di ignorare i tribunali e la legge è parte di un progetto politico per «rendere la Presidenza più forte e robusta» e riaffermare la supremazia dei governo sul Parlamento.
Dopo le contorte e faticose giustificazioni offerte da Bush alla raffica di domande sulle intercettazioni che lo hanno accolto nella conferenza stampa di fine anno che lui avrebbe voluto come una celebrazione dei successi iracheni, Cheney ha avuto il merito di parlare chiaro e dire quello che tutti avevano capito subito. Che nella decisione presa dalla Casa Bianca di ignorare la legge del 1979, detta Fisa, che permette alle agenzie di spionaggio di origliare le comunicazioni internazionali purché autorizzate dai giudici, non c´era soltanto l´urgenza di marcare da vicino i possibili terroristi. Ma c´era, e c´è, il preciso progetto di ribaltare i rapporto di forza a favore del governo, contro gli altri due potere costituzionali, il potere legislativo e il potere giudiziario, ristabilendo la supremazia dell´esecutivo.
È uno scontro storico e costituzionale che l´America ha conosciuto più volte nella propria esistenza, e che le guerre, fredde o calde, tendono sempre a risolvere a favore del sovrano, soprattutto quando le decisioni di pace, di guerra e di sicurezza corrono sul filo dei secondi, come accadeva nel tempo del confronto nucleare. Il meraviglioso meccanismo di pesi e contrappesi, di «checks and balances» che da oltre due secoli tiene in equilibrio un sistema nel quale il Presidente non è soggetto alla fiducia parlamentare e non può essere cacciato per quattro anni, se non per gravi crimini, è periodicamente vissuto come una gabbia intollerabile da capi di stato impazienti, in situazioni di crisi.
Era dunque inevitabile che un uomo come Bush, e soprattutto come il presidente in seconda, Cheney, che hanno della presidenza una visione imperiale e assoluta, si scontrassero con un Parlamento e una Magistratura che, pur addomesticate dal ricatto del «fare il gioco del nemico» stanno tornando a pretendere di recitare la propria parte anche in questa anomala e indefinibile guerra al terrore. La notizia delle intercettazioni viene dopo lo scontro sulla tortura, vinto dal Parlamento che ha costretto Bush ad accettare limiti alle sevizie sui prigionieri, dopo il caso Guantanamo, che i tribunali hanno sottratto alla completa discrezione dei militari e del governo, dopo lo shock dell´esportazione dei sospetti per sottoporli a interrogatori in carceri straniere, dopo una serie coerente di operazioni condotte, tutte, sulla base dello stesso criterio di superiorità della presidenza sugli altri poteri nelle fasi di emergenza.
Ma il Parlamento, e non soltanto il giudice disgustato che si è chiamato fuori da quell´inutile organo di sorveglianza legale, non ha accettato questa ultima sfida. Molti deputati e senatori, repubblicani come democratici, hanno organizzato commissioni di inchiesta per gennaio, quando il governo sarà chiamato a rispondere di queste sue presunte e continua invasioni di campo.
Tranne i pochi fedelissimi di Bush, i più autorevoli parlamentari, dal repubblicano Arlan Specter a John Rockefeller, democratico, negano di avere mai autorizzato la Casa Bianca a scavalcare la magistratura. I media, informati dalle “gole profonde” che ora duellano contro le grandi orecchie dello spionaggio governativo smentiscono anche l´affermazione fatta da Bush secondo la quale solo comunicazioni internazionali, da e per gli Usa, erano ascoltate o lette dalla National Security Agency, la super-Cia dello spionaggio elettronico; anche molte comunicazioni all´interno del territorio americano, sostengono, sono state spiate. La risposta di Bush è stata già data ed è la rivendicazione del suo dovere di «fare tutto quello che è in mio potere per proteggere la vostra vita». Ma la risposta ha subito prodotto la domanda che Cheney ha intuito, proclamando la superiorità del potere sulla legge: è disposta l´America a rinunciare ai propri principi costituzionali in cambio di una maggiore protezione, o è questo il genere di ricatto che alla fine snatura una democrazia senza davvero darle più sicurezza?