Per fortuna ieri era sabato. Così i morti sul lavoro sono stati «soltanto» due, invece dei tre o quattro della media dei giorni feriali.
Un operaio di 54 anni, dipendente di una piccola ditta di traslochi, è rimasto ucciso a Messina, quando la scala-montacarichi su cui stava lavorando è crollata al suolo. Santo Cacciola è caduto da un’altezza pari al secondo piano. In un primo momento era sembrato che il montacarichi si fosse piegato per il peso eccessivo (un mobile e due persone); ma le verifiche di polizia hanno stabilito che gli ancoraggi a terra e sul balcone del palazzo non erano stati fatti come si sarebbe dovuto. Il secondo operaio è riuscito a salvarsi aggrappandosi alla ringhiera del balcone; è stato poi salvato dalle persone presenti nell’appartamento. Il padroncino della ditta, Fabrizio Adolfo Graci, raggiunto telefonicamente, ha ammesso che Cacciola «non era in regola». La formula usata era quella del «periodo di prova», del resto consentito dall’attuale normativa. «Volevo metterlo in regola a settembre», ha continuato, perché «era una brava persona e nel lavoro ci sapeva fare; lo chiamavo ogni volta che avevo bisogno di manodopera». In totale nella ditta lavorano una decina di persone, prevalentemente in forma occasionale.
Il secondo incidente mortale si invece verificato in Sardegna. Felice Schirru, operaio 33enne di Sinnai, è stato colpito in pieno volto da un pesante tubo all’interno della raffineria Saras di Sarroch. L’uomo lavorava per una ditta esterna – la Mintor di Macchiareddu, specializzata in manutenzione – e in quel momento, insieme ad altri operai, stava scaricando una serie di grossi tubi da un camion, con l’aiuto di una gru. I compagni hanno immediatamente chiamato i soccorsi, ma Felice è morto prima ancora dell’arrivo dell’ambulanza. In entrambi i casi la magistratura è intervenuta per gli accertamenti di rito, aprendo un’inchiesta.
Questi altri due episodi – che seguono i quattro del giorno precedente – hanno rafforzato l’attenzione del mondo politico e istituzionale, generalmente abbastanza disattento rispetto al problema (non nelle dichiarazioni ufficiali, ovvio); complice anche la coincidenza con il varo, da parte del governo, del disegno di legge in materia di sicurezza sul lavoro. Si tratta del lungamente atteso «Testo unico», previsto dalla normativa addirittura al tempo della riforma sanitaria: era il 1979. Come dire: il legislatore non si è certo dannato per onorare un impegno che avrebbe potuto avere qualche conseguenza sul modo in cui le imprese mettono al lavoro i propri dipendenti.
La voce più autorevole levatasi ieri è stata quella del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Toni accorati («hanno ragione coloro che temono che, dopo gli incidenti, ogni volta si chiuda la parentesi»), inviti perentori al parlamento («non ci sono più parole per esprimere sdegno e dolore; è ora di decidere e agire»), suggerimenti anche pratici («il governo, lo dico con chiarezza, destini i mezzi necessari al rafforzamento di ispezioni e controlli»), indicazioni sui tempi di approvazione del decreto («si discuta liberamente, ma rapidamente»).
Raccoglie naturalmente i consensi di tutto il centrosinistra, mentre dall’opposizione arrivano soprattutto silenzi imbarazzati (in sintonia con la latitanza di Confindustria, in genere prodiga di esternazioni su ogni argomento possa sfiorare la normale attività delle imprese) e qualche polemica (l’immarcescibile Maurizio Sacconi, ex viceministro del lavoro con Maroni). Il ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, spiega che le morti sul lavoro non sono «incidenti», ma «il frutto di una politica che per anni ha depenalizzato tutto, deresponsabilizzando i datori di lavoro e riducendo a normalità la morte di un lavoratore». Alcuni parlamentari e assessori regionali di Rifondazione hanno annunciato uno sciopero della fame a partire da lunedì per ottenere che 500 milioni del «tesoretto» siano destinati all’assunzione di altri ispettori del lavoro da impiegare per le verifiche nelle aziende (è recente la polemica su un gruppo di neo-ispettori messi a lavorare in ufficio). Il ministro del lavoro Damiano promette di sbloccare i fondi previsti per le nuove assunzioni.
Ma intanto le statistiche rilevano che gli incidenti mortali sono nuovamente in aumento, dopo quasi cinque anni di stagnazione o addirittura di lenta diminuzione. Nel 2005 c’erano stati 1.255 lavoratori uccisi, mentre nel 2006 se ne sono stati registrati 1.280. Il settore più pericoloso (e «in crescita» anche su questo piano) è ancora una volta l’edilizia (282 morti l’anno scorso). Ma anche i servizi – a partire dalla sanità – mostrano una tendenza simile. In calo risultano invece sia l’agricoltura che l’industria, forse semplicemente perché l’occupazione in questi settori è andata diminuendo.