LA MISSIONE «umanitaria» in Iraq (la definizione è di Franco Frattini, ministro degli Esteri nel 2003), costata la vita a 27 militari e due civili, si trasforma in businness. Carri armati e fucili non serviranno più per «pacificare» Nassiriya, ma per proteggere il «made in Italy».
Due esponenti di An e viceministri nel governo Berlusconi, guidano la trasformazione della spedizione in Iraq con la benedizione del titolare della Difesa Martino, regista dell’operazione. I vice ministri Adolfo Urso (Attività produttive) e Alfredo Mantica (Esteri) sono da sabato nella fortezza di Camp Mittica assieme ad una quindicina di imprenditori, tra i quali figurano alcune importanti firme dell’industria nazionale. Ieri nel campo è stata posta la prima pietra di «Bab Tharir District», un’area «dedicata ad ospitare incontri d’affari ed esposizioni di macchinari e tecnologie provenienti dall’Italia».
Giovedì scorso, illustrando alla Camera l’exit strategy italiana, il ministro Martino aveva spiegato la filosofia che ispira il governo, annunciando l’imminente partenza di «una missione di operatori economici per la provincia di Dhi Qar e, successivamente, in Kurdistan» e l’intenzione di creare a Nassiriya «un’area attrezzata destinata ad ospitare strutture economiche italiane interessate ad operare». Ciò fa parte della «mutazione» della spedizione italiana: 1000 soldati dovrebbero rientrare a giugno, i restanti 1600 dovrebbero proteggere «un impegno prevalentemente civile». Per la seconda metà del 2006 e per il 2007 Martino prevede l’assunzione di «responsabilità della direzione e della gestione di un eventuale Prt» (team di ricostruzione provinciale), cioè una missione militare e civile al tempo stesso finalizzata alla «ricostruzione». Entro il 2006 dovrebbe dunque essere completato il ritiro dei militari di “Antica Babilonia”, ma, successivamente, inizierà “Nuova Babilonia”. Martino ha ammesso che «per il 2007» è ancora in corso la discussione con la Farnesina ed è rimasto sul vago in merito alla presenza di forze armate anche dopo la fine di quest’anno. In questo quadro si inserisce la missione targata An dei vice ministri Urso e Mantica. Quest’ultimo ha spiegato che «inizia la fase operativa della ricostruzione». I due esponenti del governo hanno incontrato il vice-presidente iracheno, lo sciita Adel Abdel Mahdi, il governatore di Nassiriya Al Aghely (che ha auspicato un ritiro “graduale” degli italiani) ed alcuni ministri giunti espressamente da Baghdad. Nel corso di un blindatissimo incontro, ospitato nella centrale elettrica di Nassiriya, gli imprenditori italiani hanno discusso con i colleghi iracheni. Tra le firme italiane presenti quella di Finmeccanica, Franco Tosi, Intertransport, Euromec, Mideuro (servizi ambientali), Euromes (trattamento acque). I vice ministri hanno spiegato che, per ora, «non vi sarà personale italiano». Giovedì Martino aveva parlato di possibili «joint-venture tra imprese italiane e locali in specifici settori: agricolo, industriale, delle costruzioni, della salute e dell’energia, commerciale e del turismo culturale».
In attesa dell’arrivo dei “turisti”, sono intanto giunti gli imprenditori, ma il fatto che la “fiera del made in Italy” sia stata realizzata nell’accampamento italo-americano di Tallil la dice lunga sulla situazione della sicurezza. La spedizione guidata dai vice-ministri riaccende inoltre i riflettori sugli interessi italiani a Nassiriya. Nell’aprile del 2005 è comparso il secondo dossier chiesto dal vice ministro Urso al professor Giuseppe Cassano, docente di statistica economica a Teramo. Lo studioso ribadisce quanto aveva scritto nel febbraio 2003 pochi giorni prima dell’inizio della guerra e cioè che a Nassiriya si possono fare affari. Alla metà degli anni 90 l’Eni aveva raggiunto un accordo con Saddam per realizzare pozzi nella zona. Non se ne fece nulla per via dell’embargo, ma l’invio dei militari proprio a Nassiriya ha riacceso i sospetti sulla reale vocazione «umanitaria» della missione. Elettra Deiana, deputata di Rifondazione, ricorda a questo proposito che «la missione Antica Babilonia ha odorato di businness fin dall’inizio, quando in vari ambienti ministeriali è girata voce che il contingente italiano era stato destinato a Nassiriya per presidiare e proteggere i potenziali interessi dell’Eni».