«Amnistia, si parte dagli ultimi»

Intervistiamo Franco Corleone, garante dei detenuti di Firenze, proprio mentre dal carcere di Regina Coeli arriva l’impegno a favore dell’amnistia del nuovo ministro della giustizia Clemente Mastella. «Che sia Mastella a rappresentare la discontinuità con il passato può sembrare paradossale – commenta soddisfatto Corleone – ma forse non lo è poi tanto perché in qualche modo rappresenta la rivincita della politica sulla tecnica, la prova che solo la politica può fare quel salto in avanti che gli ‘esperti’ non sono in grado di attuare».

In parlamento però già si dice che è impossibile approvare rapidamente un provvedimento di clemenza: a giugno c’è il referendum, poi l’elezione dei consiglieri al Csm…
E se non ora quando? A settembre diranno che c’è la finanziaria e così via. Non può più essere che i problemi del carcere vengono sempre dopo qualche cosa perché allora non si affronteranno mai. Io dico: rendiamo i «primi cento giorni» del nuovo governo davvero effettivi. Tra ingorgo istituzionale, campagne elettorali e ferie l’amnistia e le altre cose necessarie o si fanno subito o non si faranno mai. Provocando un po’ suggerisco che visto che la legislatura è appena iniziata e le cose da fare sono tante governo e parlamento per il primo anno non vadano in vacanza: lavorare molto da subito rappresenterebbe un vero segno di diversità e di maggiore credibilità di fronte ai cittadini.

Finalmente c’è un «ministro dei detenuti»?
Forse nell’affermazione di Mastella c’è una vena polemica verso un certo giustizialismo, e quindi ha voluto dire che terrà sempre conto degli ultimi. Però ha ragione, perché la macchina giudiziaria è come un setaccio, alla fine quello che arriva in fondo sono solo i detenuti.

Chi sono? Chi vive nelle carceri?
Le statistiche sono chiare: siamo di fronte a una giustizia «di classe». L’enorme sovraffollamento che tutti conoscono è essenzialmente dovuto a due sole leggi: quella sugli stupefacenti e quella sull’immigrazione (vedi box, ndr). Siamo ormai arrivati al triste record di 62mila detenuti e non oso pensare cosa accadrà quando la Cirielli e la Giovanardi sulle droghe entreranno a regime. I numeri del carcere parlano di politica più di tanti comizi. Mi auguro che con Mastella si possa finalmente ragionare su un carcere che non sia una sorta di discarica sociale ma un luogo dove è recluso chi commette reati gravi. E’ l’amministrazione penitenziaria, il Dap, a dire che dal ’98 a oggi il numero di detenuti per reati gravi (mafia, sequestri di persona, traffico di droga, omicidi, etc.) è assolutamente costante al 14% del totale. Il sovraffollamento dunque riguarda altri: c’è una ragione profonda nello stare dalla parte degli ultimi.
Come si può fare?
Siccome in 5 anni non è stato fatto nulla bisogna stilare un agenda quasi chirurgica. E’ giusto che si riparta dall’amnistia e dall’indulto, perché ridurre l’affollamento consentirebbe di avere due anni di tempo per poter fare i lavori di ristrutturazione necessari per adeguare le tante carceri fuorilegge. Poi penso che bisognerebbe intervenire su poche leggi: quella sulla droga (non si può punire chi consuma), la Bossi-Fini (il carcere non è un argine all’immigrazione), la Cirielli sulla recidiva e poi, come sosteneva Giuliano Pisapia, mettere in campo dopo 75 anni il nuovo codice penale. Che significa non solo depenalizzare molti reati e incentivare pene alternative e riparative ma anche cambiare la visione della società. Il codice Rocco si appella a valori ormai superati, bisogna invece valorizzare i reati finanziari e speculativi, quelli ambientali e informatici, tutte cose che esistono ma che rischiano di essere marginali perché alla fine in carcere ci vai solo se rubi o scippi. Oggi le condizioni sono disumane, e si va avanti solo perché c’è una popolazione interna molto debole e disgregata. Così quello che fanno i detenuti è prendersela con se stessi attraverso il suicidio e l’autolesionismo. Fuori non si vuole sapere ma nelle carceri il sangue scorre a fiumi, ci sono detenuti in sciopero della fame, che si cuciono la bocca, che si feriscono, e tutto accade nel silenzio più assoluto.

Però qualcuno vuole sentire tutto. Abbiamo scritto di una rete di spionaggio segreta.
La denuncia del manifesto dà l’idea di chi ha gestito il Dap. A conclusione di questo fallimento spunta anche questa circolare la cui responsabilità, temo, verrà scaricata sull’antimafia senza che questo di per sé giustifichi nulla. Per controllare i 500 detenuti in 41bis già esistono i Gom. E ora ci si inventa un altro gruppo per fare attività di spionaggio?

Aspettiamo che il governo riferisca in aula.
Si dovrà chiarire soprattutto se quella richiesta sia stata usata per un controllo generalizzato e indiscriminato. Con l’aggravante, pare, di raccogliere informazioni perfino su fatti non penalmente rilevanti. Siamo allo stavolgimento del diritto. Il danno è grave: anche solo il sospetto che questi controlli esistano davvero ha travolto la vita dei detenuti, del personale, dei volontari e dei visitatori. Tutti hanno paura di essere spiati. Il ministro deve azzerare i vertici del Dap. Siamo all’ultima vergogna di fronte a cui, a maggior ragione, va attuata la proposta di un garante nazionale dei detenuti.

Ma come ripartire?
Il Dap è diventato una struttura elefantiaca da 1.800 persone. Un terzo, credo, sarebbero più che sufficienti per il dipartimento se solo si facessero lavorare come dovrebbero i provveditorati regionali. Oggi invece si preferisce fare tutto a Roma.

Perché, secondo lei?
Per gestire in maniera corporativa, opaca e clientelare tutta l’edilizia, il personale e anche i detenuti. Operazioni di un certo tipo è meglio farle da largo Daga, se si decentrassero davvero le responsabilità il controllo sarebbe più diffuso e trasparente. Il Dap va ricostruito a partire da una bonifica morale, e a questo punto anche «tecnologica», che cancelli ogni sospetto. Per il successore di Tinebra, Mastella dovrebbe indicare pubblicamente qual è il suo progetto sul carcere e su questa base chiedere a chi ritiene all’altezza un programma di realizzazione. Non è tempo di incarichi al buio ma di trasparenza. Le nomine saranno decisive per il cambiamento. E la discontinuità per esprimersi richiede anche forme originali.