C’è un gran bisogno di amnistia e indulto per tentare di porre rimedio ai pesanti guasti sociali indotti dall’ ideologia imperante della «legge e ordine» ma c’è anche bisogno di cogliere questa occasione per tornare a ragionare di giustizia da sinistra. Liberare le carceri dal disagio sociale che le occupa quasi interamente ma ripensare anche i diabolici meccanismi di incarcerazione che subito dopo le riempirebbero di nuovo. Chiunque si occupa di criminalità sa che, nelle attuali condizioni di repressione globalizzata – e proprio sulla scia di una regressione della civiltà giuridica che, partendo da Reagan e passando per la Thatcher e Blair, è arrivata a Bush e agli emuli minori – di carceri più se ne costruiscono e più se ne riempiono. Anche il nostro Castelli lo sa tant’è che, proprio in vista della nuova ondata di detenuti provocata dall’applicazione della nuova legge Berlusconi – Cirielli, ne progetta di nuovi: gli unici che, in perfetta malafede, fingono di non saperlo, sono quei deputati che, dopo aver votato la più classista e fascista legge del dopoguerra, ora si uniscono al coro di quanti invocano un atto di clemenza.
Ha ragione Antonio Bevere a ricordare che, nel lontano 1974, il parlamento produsse la prima grande rottura con i codici fascisti affidando alla discrezionalità del giudice il potere di comparare qualsiasi attenuante con qualsiasi aggravante, di escludere la recidiva contestata e di qualificare il reato come continuato, per scendere così al disotto dei minimi previsti. Dato che la destra è tornata ad Alfredo Rocco, se ci sarà un governo di centrosinistra, il giorno dopo il suo insediamento la Cirielli dovrà essere cancellata.
Né c’è da farsi abbindolare dal luogo comune reazionario del ripristino della «certezza della pena» perché nel nostro paese questa certezza c’è sempre stata, anche se solo per i poveracci che le pene se le vedono appioppare tutte intere e tutte intere le scontano. Proprio per ovviare, seppure parzialmente, a questa ingiustizia generalizzata nacque, dalla passione di Mario Gozzini, la legge che porta il suo nome e da lì bisognava andare avanti, mentre – al traino delle tante emergenze – si è andati sempre indietro. Per svuotare seriamente le carceri bisognerà quindi mitigare il sistema delle pene e potenziare le misure alternative alla detenzione in carcere, abbandonando il fascino della escalation punitiva che spesso ha preso anche la sinistra «liberale». Per far ciò c’è bisogno di una svolta concreta e questa può iniziare solo con una amnistia e un indulto che servono sia a scalzare le radici della ideologia repressiva che a liberare concretamente una massa di umanità dolente.
Gli ostacoli sono molti, dalla difficoltà della maggioranza parlamentare qualificata (ieri alla Camera solo un centinaio di parlamentari presenti) al timore, tutto di sinistra, di lasciare impuniti anche i «colletti bianchi». Su quest’ultima obiezione, che rischia di far partorire un provvedimento riduttivo che libererebbe pochissimi detenuti, bisogna usare raziocinio e misurarsi con l’esperienza dei casi concreti. La percentuale dei «ricchi» che già sfuggono alla pena, per prescrizioni, patteggiamenti cari ma convenienti, ottimi difensori, ecc., è altissima e pur di non estendere i benefici ai pochissimi squali che rimangono presi nella rete del carcere si sacrificano decine di migliaia di detenuti «semplici»: rispunta l’ideologia punitiva e saranno sempre i più deboli a farne le spese. Basterebbe ricordare che, almeno per il passato, i partiti progressisti hanno sempre perseguito il fine di togliere manette e sbarre e non di metterne di nuove e, magari, più «umanizzate».