In Turchia, la situazione dei diritti umani è un’emergenza ormai da decenni. Le autorità turche, anziché affrontare i problemi alla radice, applicano legislazioni particolari una dopo l’altra, giustificandole proprio in nome dell’urgenza e necessità. Purtroppo, queste “legislazioni d’emergenza”, il più delle volte peggiorano la già grave situazione. Esemplare è la vicenda delle carceri, vera e propria emergenza di questi mesi. In Turchia, dove sono diffusi centri di detenzione con grandi celle contenenti anche sessanta detenuti, è stato deciso di ampliare alcuni vecchi penitenziari, nonché costruire undici nuove strutture – le cosiddette “prigioni F” – basate su modelli di celle che consentono l’isolamento dei detenuti.
Evidente che le strutture carcerarie della Turchia vadano ammodernate, per far fronte a problemi di sovraffollamento e per prevenire violenze tra gli stessi prigionieri. Ma Amnesty International ha sempre guardato con diffidenza all’introduzione in qualsiasi paese di regimi di isolamento per i detenuti e a maggior ragione si preoccupa quando vengono introdotti in stati dove tortura e maltrattamenti sono prassi sistematica. Insieme all’organizzazione Human Rights Watch, alla fine dell’anno scorso nostri ricercatori hanno compiuto un’ennesima missione in Turchia proprio per verificare se stesse cambiando la situazione delle carceri turche. I timori di peggioramento sono stati confermati. Molti prigionieri hanno confermato di essere stati picchiati o addirittura torturati prima, durante e dopo il trasferimento nelle nuove strutture. Nelle “prigioni F”, i detenuti sono collocati in piccole celle, da soli o in compagnia di al più due prigionieri. Alcuni di essi sono rimasti potendo vedere per vari giorni solo le guardie carcerarie, e le visite di parenti e avvocati hanno subito restrizioni. Per contrastare questa situazione, Amnesty International ha ripetutamente chiesto alle autorità turche di modificare immediatamente la situazione consentendo a ogni prigioniero di passare almeno parte della propria giornata – ogni giorno – in compagnia di un ampio numero di altri reclusi nonché di rimuovere le restrizioni imposte alle visite dall’esterno. Ma quella contro l’isolamento nelle carceri turche è una battaglia che viene da lontano. La legge antiterrorismo del 1991, all’articolo 16 prevede la possibilità di mettere in isolamento prigionieri per motivi non ben specificati. Questo articolo è stato modificato proprio ai primi di maggio, ma in modo decisamente insufficiente.
Molti detenuti hanno subito protestato contro i trasferimenti nei nuovi tipi di prigione, e nell’ottobre del 2000, almeno mille prigionieri politici hanno avviato lo sciopero della fame. Il ministro di giustizia, ai primi di dicembre dichiarò che non vi sarebbero più stati trasferimenti. Ma questi sono invece continuati, la pratica dell’isolamento pure, e gli scioperanti della fame hanno iniziato a morire. La situazione è grave e alcune associazioni turche composte anche di parenti di detenuti hanno dato vita in varie città europee a manifestazioni, inclusa l’occupazione di sedi di Amnesty International. In queste ore ad essere occupata è la sede di Dusseldorf, un mese fa è accaduta la stessa cosa alla sede della sezione francese. Il 26 aprile scorso è stata la volta del Segretariato Internazionale, dove sono stati tenuti sotto sequestro per ore due persone della reception. Neppure un colloquio diretto tra gli occupanti e il segretario generale dell’associazione è servito a far liberare le persone detenute e calmare gli animi. Amnesty International si è vista costretta a far intervenire le forze dell’ordine, senza ovviamente sporgere denuncia contro gli occupanti ma anzi ottenendo garanzie per il loro immediato rilascio una volta che avessero liberato i dipendenti del segretariato.
Amnesty International continua incessantemente a collaborare con tutte le associazioni turche che operano in difesa dei diritti umani e a fare pressione nei confronti di Ankara perché affronti in modo deciso il problema dell’isolamento nelle nuove strutture carcerarie nonché la grave situazione generale dei diritti umani in Turchia. Ma questa battaglia non può passare solo attraverso l’opera delle organizzazioni non governative o l’impegno di pur autorevoli organismi come la Corte Europea dei diritti umani, che proprio in questi giorni ha incontrato il ministro di giustizia turco. Finché le principali forze politiche e di governo europee non inizieranno a fare richieste precise alle autorità della Turchia, anziché limitarsi a sporadici e vaghi appelli in favore di democrazia e diritti umani, sarà difficile che le cose cambino in meglio, nel paese di Kemal Ataturk.
*Presidente della sezione italiana
di Amnesty International