Amianto, le lotte e i prossimi 200mila morti

Spesso le imprese pagano perché gli operai tengano la bocca cucita. Nel 2020 il picco di vittime. Ma per Barroso il problema non è grave

Centomila morti all’anno secondo l’ufficio internazionale del lavoro, migliaia in Europa, l’amianto è ancora la seconda causa di mortalità professionale nel mondo e secondo gli studi dell’epidemiologo inglese Julien Peto il picco di malattie in Europa è per il 2020. Ci sarebbe da correre ai ripari e chiedere l’aiuto di università e case farmaceutiche, ma la Commissione Barroso risponde picche – «data la limitata incidenza e prevalenza» – a 100 ricercatori europei che chiedono fondi e programmi. Ci vogliono più morti e saranno accontentati, le previsioni più fosche ne stimano 200mila tra tumori ai polmoni e mesoteliomi pleurici solo in Europa.
L’emergenza amianto non è finita con la chiusura delle fabbriche e basta parlare con le decine di esperti e attivisti convenuti a Bruxelles per la conferenza europea promossa dal Gue (sinistra unita) per capirlo. Le malattie incubano dai 10 ai 30 anni e colpiscono ex lavoratori, loro familiari contaminati dai panni portati a casa, cittadini che vivevano nelle vicinanze. Bulgaria, Portogallo, Germania o Belgio, ovunque la stessa storia. «L’amianto è il paradigma della ferocia del liberismo, cinque famiglie e un pugno di multinazionali contro centinaia di migliaia di persone senza diritto alla giustizia», sintetizza l’europarlamentare Vittorio Agnoletto.

Il punto di partenza per capire questa storia è Rochdale, qualche chilometro da Manchester, qui l’amianto si usava dal 1870 e nel 1924 c’è stata la prima operaia tessile riconosciuta come vittima della fibra, qui pochi anni fa volevano costruire sulla fabbrica dismessa dal 1996 un asilo e 600 case, peccato fosse tutto contaminato. «È una guerra che dura da più di cent’anni», racconta Jason Addy dell’associazione contro l’amianto. Rochdale è diventato un caso mondiale, per le lotte, i modelli di studio epidemiologici, le rilevazione sulla malattia ambientale. «E se con tutto questo non riusciamo a cancellare questa vergogna, Dio protegga il resto del mondo». Non c’è bisogno di andare troppo lontano per trovare il peggio. In Bulgaria sono recensiti 25mila esposti con circa mille morti all’anno, ma le statistiche non ci sono. In Ucraina lavorano a pieno ritmo 10 fabbriche che importano da Kazakhstan e Russia quasi mezzo milione di tonnellate di materia prima per trasformarlo in lastre, tubi, caminetti. Il problema è che non ci sono dati sulla sicurezza e sulle malattie, denuncia l’avvocato ambientalista Skrylnikov, mentre il governo promuove una campagna pubblica «per convincere l’Europa che il nostro amianto è pulito». Scendendo verso il Mediterraneo altre miniere e casi: a Cipro hanno iniziato un piano nazionale di bonifica, in Grecia (sesto produttore al mondo) da sei anni raccolgono dati ma non hanno una copertura sanitaria adeguata, mentre in Turchia desta grande preoccupazione la quantità di giacimenti all’aria aperta. In Cappadocia la gente si rifornisce a gratis e usa l’amianto per costruire, isolare, persino come talco per i bambini. Uno scenario inquietante e un’incidenza sulla salute che il dottor Emri da Ankara definisce «potenzialmente catastrofica».

Buttando l’occhio oltremare, in Egitto, scopriamo un anno di lotte durissime dei lavoratori della Aura-Egypt (capitali spagnoli) che sono riusciti a farsi pagare i salari che non arrivavano da quando chiedevano l’indennità d’amianto; forse l’avranno, intanto hanno firmato una rinuncia a qualsiasi futura richiesta di indennizzo.

Ma chi governa l’amianto? Storicamente il 75% della fibra è utilizzato dall’industria cementiera ed è lì che bisogna cercare, come racconta Bob Ruers, avvocato olandese, ex parlamentare socialista, ha scritto un libro sull’argomento intitolato «la tragedia dell’amianto»: «Poche famiglie hanno dominato il mercato, gli svizzeri Schmidheiny padroni della Eternit svizzera, gli Emsens padroni di quella belga, i Cuvelier in Francia e gli Hatschek in Austria detentori dei brevetti originari». Le prime due famiglie per 70 anni si sono scambiate partecipazioni azionarie in tutto il mondo e nonostante abbiano venduto ad altri operatori nel 1999, «nei consigli di amministrazione – continua Ruers – ci sono sempre persone legate a loro». Qualcuno si è riciclato come esperto di ambiente e sostenibilità, altri coltivano l’arte e l’enologia.

In Italia, invece, unico caso in Europa, sono indagati per pluriomicidio dalla procura di Torino che sta esaminando 1300 casi tra la Svizzera e il Piemonte. «Non è stato un incidente casuale a scaricare sulla pelle di persone e sulle casse degli Stati questo disastro – spiega Sergio Bonetto, avvocato da oltre un decennio dell’associazione delle vittime di Casale Monferrato – ma l’azione volontaria e concertata delle persone che continuano a fare profitti su queste produzioni e l’accertamento penale, fermatosi finora ai dirigenti delle aziende, serve a limitare enormi danni sanitari e ambientali futuri».

I produttori di amianto hanno goduto di una copertura istituzionale generalizzata nonostante le malattie fossero conosciute e il nesso di casualità innegabile. È stato invece negato per decenni, nonostante i primi allarmi fossero del 1898 (persino i nazisti avevano pensato di vietare l’uso dell’amianto nel ’41), le certezze scientifiche del 1955 e la dimostrazione del contagio dei non lavoratori del 1965. Intanto le industrie hanno negato e ritardato le conversioni industriali, le sospensioni, gli indennizzi per vent’anni. Dagli anni ’70 sotto la spinta di controinchieste, cause e richieste di risarcimenti in Inghilterra, Francia e in Italia (con la Camera del lavoro di Casale Monferrato come apripista), lo scandalo non poteva più essere taciuto. Ma sono passati altri vent’anni per arrivare al bando della produzione: 1992 in Italia, 1996 in Francia e solo dal 2000 in Svizzera e Belgio, dove è ancora difficile trovare denunce e informazione sui rischi amianto per colpa di quella che i familiari delle vittime dell’associazione Abeva non esitano a chiamare «piovra dell’amianto»: 42mila euro a famiglia pagati dalla Eternit belga in cambio dell’impegno al silenzio e a qualsiasi rivalsa di famiglie e lavoratori.

A Kapelle op den bos, sede della fabbrica, una sola famiglia non ha accettato l’omertà, gli Jonckheere: padre, madre e un figlio morti di mesotelioma, quattro fratelli sopravvissuti con placche pleuriche. Sono loro, con la giornalista Marie-Anne Mengeot, a portare avanti la lotta contro tutti. «Pensa che l’anno scorso al centenario della Eternit belga (ora Etex, 3,2 miliardi di euro di fatturato) non hanno nemmeno nominato le vittime», ci racconta Xavier. In Belgio non c’è registro degli esposti e si può fare causa entro 10 anni dalla fine del rapporto di lavoro, il mesotelioma arriva dopo e le vittime non esistono.

Ma anche dove le battaglie sono state forti, come in Francia, il ritornello è stato quello della malattia sociale di cui non era noto il rischio, qui esiste però un fondo nazionale di indennizzo (alternativo alla causa in tribunale) che dal 2002 ha riconosciuto 20mila casi con indennizzi di 150mila euro per malato. Paga un quarto lo Stato e il resto le casse di categoria delle imprese, secondo la percentuale di malati nei loro settori. «Questo è un bene – ci racconta l’avvocato delle vittime e consulente del fondo, Jean-Paul Teissonniere – anche se i veri colpevoli non pagano». Per questo è nato, tra le altre cose, un coordinamento europeo di associazioni e legali per scambiare dati e unire gli sforzi. In Europa la guerra dell’amianto ha già distrutto centinaia di migliaia di famiglie nel silenzio, altrettante attendono cure e farmaci.