Americani sconosciuti

Il celebre reporter inglese Robert Fisk: scoperti grazie a una spia siriana, alcuni “Americani sconosciuti” intenti a provocare una guerra civile in Iraq.
Gli Stati Uniti sono intrappolati nelle sabbie insanguinate dell’Iraq e tentano disperatamente di provocare una guerra civile intorno a Bagdad con lo scopo di poter ridurre le loro perdite militari.

29 aprile 06 “The Indipendent”- In Siria il mondo sembra sempre più tetro, visto da una prospettiva locale. Così scuro che i vetri appannati della macchina che mi porta verso un palazzo situato nella zona occidentale di Damasco, dove un uomo che conosco da quindici anni- lo chiamiamo una “fonte sicura”, per riprendere i termini usati dai corrispondenti americani quando parlano delle loro potenti fonti ufficiali di informazione- mi aspetta con il suo orribile racconto sul disastro iracheno e sui pericoli del Medio-Oriente.
Quello che dipinge, è un ritratto spaventoso di un’America intrappolata nelle sabbie insanguinate dell’Iraq che tenta disperatamente di provocare una guerra civile intorno a Bagdad con lo scopo di ridurre le proprie perdite militari.
E’uno scenario nel quale Saddam Hussein resta il miglior amico di Washington, e nel quale la Siria ha risposto agli insorti iracheni con un’assenza di pietà che gli Stati Uniti preferiscono ignorare.
E nel quale il Ministro dell’Interno siriano, scoperto morto nel suo ufficio l’anno scorso, si è suicidato con un colpo di pistola a causa della propria instabilità mentale.
Gli Americani, sospetta il mio interlocutore, tentano di provocare una guerra civile in Iraq in modo che i ribelli musulmani sunniti spendano le loro energie per uccidere i loro correligiosi sciiti piuttosto che i militari delle forze di occupazione occidentali. “Vi giuro che noi abbiamo eccellenti informazioni”, mi dichiara la mia fonte “Un giovane iracheno ci ha raccontato di aver subito dagli americani un addestramento di polizia a Bagdad e aveva passato il 70% del suo tempo a guidare e il 30% per addestrarsi con le armi. Essi gli dicono “Torna tra un settimana”. Quando è ritornato, gli hanno rifilato un GSM, dicendogli di perlustrare una zona molto popolata in prossimità di una moschea e di telefonar loro. Egli ha aspettato in macchina ma non ha potuto ricevere il segnale mobile adeguato.
E’così uscito dalla macchina per ricevere il segnale. E in quel momento la macchina è esplosa”. Impossibile, mi dico. A questo punto ricordo il numero di volte in cui alcuni iracheni, a Bagdad, mi hanno raccontato storie simili.
Si crede a questi rapporti anche se sembrano inverosimili e so dove si possono ricavare una buona parte delle informazioni siriane: tra le decine di migliaia di pellegrini sciiti che vanno a pregare alla moschea di Sayda Zeinab, fuori Damasco. Questi uomini e queste donne vengono dai quartieri diseredati di Bagdad, Hillah e Iskandariyah, come dalle città di Najaf e Bassora. Sunniti di Fallujah e Ramadi vanno ugualmente a visitare Damasco per vedere amici e parenti per parlare liberamente delle tattiche americane in Iraq.
“C’era un altro uomo ancora, preso dagli americani per entrare a far parte della polizia. Anche a lui hanno dato un GSM, dicendogli di telefonare in una zona dove c’era una folla di gente forse per un’azione di protesta, e di raccontare loro quello che succedeva. Ma laggiù il GSM non funzionava. Egli si è dunque servito di un telefono fisso e ha chiamato gli americani, dicendo: “ Sono io, nel luogo dove mi avete mandato e vi posso raccontare cosa avviene qui”. E, nello stesso momento, c’è stata un’enorme esplosione del suo veicolo”.
La mia fonte non mi ha specificato chi potevano essere “questi americani”.
Nel mondo colpito dall’anarchia e dal panico che è l’Iraq, ci sono numerosi gruppi americani, -ivi compresi gli innumerevoli satelliti che si supponga lavorino per l’esercito americano e il nuovo Ministero irakeno dell’interno sostenuto dall’occidente- che operano a dispetto di tutte le leggi e regole. Nessuno ha potuto essere accusato dell’assassinio di 191 professori universitari e altri insegnanti dall’invasione del 2003, né del fatto che più di 50 anziani piloti di caccia bombardieri che hanno attaccato l’Iran durante la guerra irano-irackena del 1980-88 sono stati assassinati nelle loro città di residenza in Iraq negli ultimi 3 anni. In mezzo al caos, un collega della mia fonte mi domanda come ci si poteva aspettare che la Siria riducesse il numero di attacchi e di attentati contro gli americani in Iraq. “La nostra frontiera non è mai stata sicura”, dice. “All’epoca di Saddam i criminali e i terroristi di Saddam attraversavano le nostre frontiere per attaccare il nostro governo. Io ho costruito un muro di terra e di sabbia lungo la frontiera, in quel periodo. Ma tre macchine intrappolate mandate dagli agenti di Saddam sono esplose a Damasco e a Tartous- sono io che ho catturato i criminali e i responsabili. Ma non abbiamo potuto impedire loro di agire”.
Ora, mi dice, il baluardo che costeggiava per centinaia di miglia la frontiera fra l’Iraq e la Siria è stato sopraelevato “Ho fatto piazzare filo spinato in cima e fino ad ora abbiamo catturato più di 1500 arabi non siriani e non iracheni che provavano ad attraversare e abbiamo ugualmente impedito a 2700 siriani di infrangere questa frontiera…il nostro esercito è sul posto- ma l’esercito iracheno e gli american non sono presenti dall’altro lato”.
Dietro questi gravi sospetti alimentati a Damasco, c’è il ricordo della lunga amicizia tra Saddam e gli Stati Uniti. “Il nostro Hafez el- Assad (l’anziano presidente siriano deceduto nel 2000) aveva saputo che all’inizio del suo potere, Saddam aveva incontrato gli americani una ventina di volte in quattro settimane. Ciò aveva convinto Assad che, in parole, “Saddam era con gli americani”. Saddam fu il principale alleato degli americani in Medio-Oriente (da quando attaccò l’Iran nel 1980) dopo la caduta dello Scià e lo è sempre! Dopotutto, è lui che ha portato gli americani in Iraq!”.
Così vado a finire in una storia che è più deprimente per le mie fonti: la morte per una pallottola del generale di brigata Ghazi Kenaan, antico capo delle informazioni militari siriane in Libano- un posto particolarmente influente- e Ministro siriano dell’interno fino a quando il suo suicidio venne annunciato dal governo di Damasco l’anno scorso.
Voci molto diffuse fuori dalla Siria hanno suggerito che Kenaan era stato sospettato dagli investigatori dell’Onu di essere stato implicato nell’assassinio dell’antico premier libanese Rafik Hariri, durante un gigantesco attentato alla vettura imprigionata a Beirut l’anno scorso, e si disse che era stato “suicidato” dagli agenti del governo siriano per impedirgli di dire la verità.
Ma ciò non è vero, ha insistito il mio primo interlocutore. “Il generale Ghazi era un uomo che credeva di poter dare degli ordini e che sognava di poterli realizzare. Si è creata qualcosa che non ha potuto digerire- qualcosa che gli ha fatto capire che non era del tutto potente. Il giorno della sua morte, si è recato nel suo ufficio del Ministero dell’interno, poi è ripartito e si è recato a casa sua per una mezz’ora. Poi è ritornato con una pistola. Ha lasciato un messaggio a sua moglie in cui le diceva arrivederci e di vegliare sui loro figli e le ha anche detto che ciò che andava a fare era “per il bene della Siria”. Poi si è sparato in bocca”.
A proposito dell’assassinio di Hariri gli ufficiali siriani amano ricordare le relazioni di quest’uomo con l’antico primo ministro iracheno Iyad Alawi- di sua propria confessione, un antico agente della Cia e del M16- così come con un mercato d’armi supposto di 20 miliardi di dollari tra la Russia e l’Arabia Saudita, mercato nel quale sarebbe stato implicato Hariri, sempre secondo i racconti degli ufficiali siriani. I partigiani libanesi di Hariri continuano a rifiutare l’argomento siriano pretendendo che la Siria abbia identificato Hariri come il coautore insieme al suo amico Presidente francese Jacques Chirac, della risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che esigeva il ritiro dei Siriani dal territorio libanese.
Se i Siriani- e ciò si comprende- sono ossessionati dall’occupazione americana dell’Iraq, il lungo odio che sentono verso Saddam- e quest’odio lo condividono con la maggior parte degli iracheni- è sempre intatto. Quando ho chiesto alla mia prima fonte “sicura” quale sarà la sorte dell’anziano dittatore iracheno, mi ha risposto, sbattendo il pugno “Sarà giustiziato! Sarà giustiziato! Sarà giustiziato!”.

Traduzione di Arianna Catania