«America sommersa. Sesso, droga e nuovi schiavi negli Stati uniti»

Nei sotterranei del made in Usa

Dall’autore di «Fast Food Nation», indagine sulle grandi catene dei panini imbottiti, una nuova inchiesta sull’economia in nero che sfrutta i lavoratori clandestini e i vizi privati degli americani e che rappresenta una grossa fetta del prodotto interno lordo. Focalizzata in tre settori: marijuana, fragole e pornografia

L’immagine dell’economia americana è indissolubilmente legata a una serie di marchi famosi ovunque nel mondo: Coca-cola, Microsoft, Apple, Ford, General Motors. La dimensione globale di queste e di tante altre aziende statunitensi, oltre alla visione comunemente diffusa di una legislazione incentrata sulla libertà di impresa e libera dai tanti «lacci e lacciuoli» presenti in vari altri sistemi economici occidentali, sembrerebbe escludere la possibilità che anche negli Usa esista e abbia dimensioni rilevanti quell’economia sommersa che in paesi come l’Italia rappresenta una quota rilevante – addirittura il 27%, secondo recenti indagini – del prodotto interno lordo. Eppure, il sommerso in America non solo esiste ma rappresenta oltre un decimo della ricchezza del paese ed è in continua e inarrestabile espansione. Se nel 1970, infatti, l’economia nascosta rappresentava tra il 2,6 e il 4,6% del prodotto interno lordo, nel 1994 aveva già raggiunto il 9,4%, cioè circa 650 miliardi di dollari. Fenomeno davvero imponente, dunque, di cui si occupa Eric Schlosser in America sommersa. Sesso, droga e nuovi schiavi negli Stati Uniti (Marco Tropea, pp. 350, € 18,50). Giornalista, corrispondente dell’«Atlantic Monthly», famoso soprattutto per Fast Food Nation, libro-inchiesta sull’industria del fast food, divenuto un best seller negli Usa e in vari altri paesi, dopo aver indagato a fondo la catena produttiva di aziende notisssime come McDonald’s o Burger King, Schlosser è andato a scavare con la stessa tenacia e la stessa perizia nell’universo del sommerso americano. La sua attenzione si è focalizzata su tre settori: il traffico di marijuana, la raccolta di fragole in California e il mercato del porno.

Così in La follia dello spinello, lo spunto per investigare il mercato dell’erba è offerto dalla storia di Mark Young, un trentottenne accusato di aver fatto da intermediario nella vendita di 320 chilogrammi di marijuana. Young non era accusato di spaccio, aveva semplicemente presentato dei coltivatori che volevano vendere una partita di droga a dei tizi che intendevano comprarla. In uno stato come l’Indiana, dove un condannato per rapina a mano armata passerà circa 6 anni in carcere, l’autore di uno stupro circa 8 e un omicida 25, Young fu condannato all’ergastolo. L’inchiesta di Schlosser mette in luce come, a partire dagli anni `80, l’inasprimento delle leggi sulla droga e l’approvazione di norme sui minimi di pena obbligatori – che, tra l’altro, concedono un potere enorme ai rappresentanti dell’accusa, i quali sono i soli a dover «decidere se in un dato caso si applichi un minimo di pena» – ha portato a queste situazioni paradossali. Paradossi che si esplicitano nell’evidente sproporzione delle pene ma anche nel regime di confisca dei beni per cui qualunque proprietà connessa a un reato legato alla marijuana è oggetto di sequestro immediato, senza bisogno di dimostrare che il bene sia stato acquistato con proventi derivanti dalla vendita di stupefacenti. E un appartamento può essere confiscato se vi viene trovata anche solo una piantina di cannabis.

Nei campi di fragole, invece, analizza l’impiego di lavoratori immigrati, per lo più clandestini provenienti dal Messico, pagati in nero per raccogliere frutta in California. Si tratta di una vera e propria schiavitù, basata in genere sullo sfruttamento selvaggio dei braccianti e su contratti-capestro di mezzadria, in base ai quali non solo gli oneri sono tutti a carico dei mezzadri, ma spesso vengono finanziati con denaro prestato dagli stessi propretari a tassi che possono arrivare fino al 19%. È facile comprendere come gran parte di questi ex coltivatori, sognando di diventare imprenditori, si siano invece ritrovati annegati in un mare di debiti in poco tempo. Del resto ci sono contratti così accurati, che sono protetti da copyright. Spesso i mezzadri non sono neanche in grado di leggerli, dato che sono scritti in inglese, mentre molti di loro conoscono solo lo spagnolo. Tutto il lavoro di raccolta si svolge come nel Settecento, rigorosamente a mano. Anche se esistono macchine per raccogliere praticamente ogni tipo di frutto e di ortaggio, «vengono tuttavia introdotte solo quando il costo della meccanizzazione risulta inferiore a quello previsto per far eseguire il medesimo lavoro a lavoratori stagionali», ovvero praticamente mai. Tanto che è stato osservato che «al momento stiamo assistendo non a una “meccanizzazione”, ma a una “messicanizzazione” dell’agricoltura californiana».

Un impero dell’osceno, infine, racconta la storia dell’industria pornografica americana seguendo l’ascesa e la caduta di quello che, insieme a Hugh Hefner (il creatore di «Playboy»), può essere considerato il suo inventore, Reuben Sturman, e dei suoi epigoni. Viene narrato come abbia potuto fare il suo ingresso sul mercato legale una merce prima scambiata esclusivamente in maniera clandestina. Si segue la strenua lotta di Sturman contro lo stato: sentendosi perseguitato dalle istituzioni, egli non intendeva pagare nemmeno un centesimo di tasse e a questo fine utilizzava ogni tipo di trucchi contabili e legali e varie forme di riciclaggio. La diffusione di questa merce genera un flusso di denaro gigantesco e la maggior parte finisce nelle tasche di imprese a prima vista estranee al mercato del porno. Così nel 2001 gli americani hanno speso circa 465 miliardi di dollari per guardare film a luci rosse sulle tv pay-per-view, e «la fetta più grossa è andata a note società che non sbandierano certo i propri legami col mercato del sesso, come la Echo Star, DirecTv, At&T Broadband e Aol». Non solo, negli Usa vengono spesi altri 200 milioni di dollari per vedere film porno nelle camere d’albergo e «le maggiori catene – come Hilton, Holiday Inn, Sheraton e Marriott International – si prendono una fetta fino al 15%».

Libro ricco di informazioni, spunti e prospettive stimolanti, America sommersa potrebbe sembrare, a prima vista, un po’ frammentario data la diversità degli argomenti trattati. Leggendolo, però, non si può che trovarsi d’accordo con l’autore: «a legare insieme questi tre saggi è la convinzione che l’economia sommersa sia inestricabilmente legata a quella ufficiale. I confini che le separano sono fluidi e mutevoli. Non è possibile comprendere totalmente l’una senza tenere conto dell’altra».

E il contributo offerto da Schlosser per comprendere meglio un paese come gli Stati Uniti è davvero prezioso. Infatti «se davvero il mercato incarna la somma di tutti i desideri umani, allora quelli segreti sono altrettanto importanti di quelli che vengono manifestati apertamente. Come yin e yang, economia ufficiale ed economia sommersa sono in ultima analisi le due facce della stessa medaglia». E «per conoscere un paese bisogna vederlo per intero».