Le popolazioni dell’America Latina sono state protagoniste nei recenti anni di avvenimenti di portata storica. Il 2000 si è aperto con un processo rivoluzionario in Ecuador, nel 2001 abbiamo assistito al crollo dell’economia argentina con la caduta di due presidenti nel giro di poche settimane. In Brasile la volontà massiccia di cambiamento è stata dapprima intercettata e poi frustrata dall’elezione a presidente del candidato del Pt Lula.
Nel 2002 e nel 2003 in Venezuela l’intervento spontaneo delle masse ha sventato i tentativi di colpo di stato orchestrati dagli Stati Uniti contro il governo Chavez. Si tratta della prima volta nella storia del continente che assistiamo al fallimento delle cospirazioni golpiste dirette da Stati Uniti ed Europa. Nel 2003 è stata la volta della Bolivia: una mobilitazione di massa, costata 150 manifestanti assassinati dalla repressione poliziesca, ha spazzato via il Governo di Sanchez de Lozada, conosciuto come Goni, e i suoi tentativi di privatizzare il gas boliviano. La stessa mobilitazione si è ripetuta su basi superiori nel 2005 quando la popolazione boliviana, con in testa il settore dei minatori, ha rovesciato il Governo Mesa, reo di aver riproposto gli stessi intenti di privatizzazione. La lista potrebbe continuare con l’Uruguay o con la Colombia.
Si tratta di un processo che ha avuto inevitabilmente caratteristiche peculiari paese per paese, ma che ovunque è stato caratterizzato dalla stessa matrice: un ritrovato protagonismo delle masse. Un protagonismo che in alcuni casi ha trovato nel terreno elettorale le prime espressioni embrionali (ed in alcuni casi anche i primi tradimenti) ma che ovunque ha finito per adottare i metodi tradizionali della lotta di classe mondiale e latinoamericana in particolare: occupazione di terre contro il latifondismo, lotta al sicariato e per l’autodifesa delle organizzazioni contadine, scioperi generali, picchetti, vertenze sindacali ed occupazione ed autogestione di fabbriche. Anche allo sguardo più superficiale l’America Latina non può che apparire oggi come un continente attraversato da processi di lotta e rivoluzionari, che si pone oggettivamente all’avenguardia del processo di lotta mondiale contro l’imperialismo ed il sistema economico dominante.
Esiste, tuttavia, un divario abissale tra la profondità di simile processo ed il silenzio assordante (o peggio il velo di calunnie) che gli è stato tributato dalla sinistra europea. Non ci stupiamo di certo del comportamento dei vertici della cosiddetta sinistra moderata: incapaci di una linea propria sul terreno della politica interna, anche in poltica estera non possono che riflettere il punto di vista dei grandi interessi economici e imperialisti. Più grave è che simile atteggiamento sia stato proprio anche della cosiddetta sinistra alternativa: costruitasi una serie di nuovi schemi teorici a cui i fatti latinoamericani non sembrano adattarsi, ha finito semplicemente per ignorarli o accoglierli con tiepidezza. Basta confrontare i fiumi d’inchiostro, l’entusiasmo tributato all’esperimento del bilancio partecipativo di Porto Alegre o alla stessa elezione di Lula, con la diffidenza in cui viene avvolto il processo bolivariano in Venezuela, o il sorriso sforzato di fronte all’insurrezione boliviana dello scorso giugno o ancora qualche fredda parola di solidarietà (se non è chieder troppo) alla rivoluzione cubana.
E’ necessario essere chiari: non solo i processi di mobilitazione in America Latina gettano potenzialmente all’aria l’Alca, i processi di privatizzazione, le politiche dettate dal Fmi e dalla Banca Mondiale, ma giungono nelle proprie punte avanzate a mettere in discussione lo stesso sistema capitalista. Non siamo di fronte a nient’altro che ad una nuova ondata della lotta di classe in questo continente. Ci riferiamo, ad esempio, alle fabbriche occupate in Argentina o a quelle occupate e nazionalizzate sotto il controllo dei lavoratori in Venezuela.
In questo contesto un accenno particolare merita Cuba: il processo rivoluzionario nell’isola vive, come conseguenza del mutamento dei rapporti di forza in tutto il continente, una nuova rivitalizzazione. Cuba rimane tutt’oggi l’aspirazione e l’esempio a cui guardano istintivamente le masse latinoamericane: l’unico paese al mondo in grado, ad esempio, di inviare 15.000 medici in soccorso di un altro paese, nonostante l’embargo decennale. La sua caduta sarebbe un colpo durissimo per tutto il processo rivoluzionario in America Latina. La sua difesa incondizionata rimane quindi un punto vitale di qualsiasi politica internazionalista di sinistra.
La nuova primavera politica dell’America Latina non è per noi semplicemente un esempio esotico e lontano a cui indirizzare la nostra simpatia. Riconosciamo negli avvenimenti in America Latina la punta di lancia di una lotta internazionale. Essi non costituiscono un modello da applicare meccanicamente in Europa ma di certo formano parte integrante della stessa lotta politica che conduciamo qua in Italia.
Per quanto oggi i movimenti di massa siano in ascesa in quasi tutto il continente, la loro vittoria non appare scontata. Minacce continue si riversano sui movimenti di lotta o sui processi rivoluzionari in Venezuela o sulla stessa Cuba. La repressione rimane altissima in paesi come la Colombia, con le sue migliaia di sindacalisti uccisi annualmente o i continui attacchi dei gruppi paramilitari alla popolazione. Proprio per questo riteniamo fondamentale intensificare e continuare in maniera coordinata ogni iniziativa possibile di solidarietà con i movimenti latinoamericani, a partire prima di tutto dalla pura e semplice attività di informazione.
E’ su questa base che tutte le realtà che hanno dato vita all’iniziativa di due giorni “Popoli in marcia” si impegneranno a continuare e approfondire le iniziative rigurdanti i processi in America Latina, con l’obiettivo di sviluppare una maggiore forza e unità nell’azione.
Per la difesa della rivoluzione cubana
In difesa del processo bolivariano in Venezuela
Per il fallimento definitivo dell’Alca
Per l’approfondimento e l’estensione degli esperimenti di controllo e di
gestione delle fabbriche da parte dei lavoratori
Per la difesa della guerriglia e l’appoggio alla lotta contro il sicariato ed il latifondismo
Per la lotta contro quegli stessi interessi economici delle multinazionali americane ed europee che depredano l’America Latina e ci offrono qua in Italia una vita di precarietà e stipendi da fame
Per la lotta nell’ambito delle organizzazioni sindacali, partitiche e in generale di sinistra per il riconoscimento della difesa dei processi rivoluzionari in America Latina come punto imprescindibile della propria azione