«Ambigua la proposta di Ferrero Meglio un congresso a mozioni»

Romina Velchi
Gian Luigi Pegolo, deputato uscente ed esponente dell’area dell’Ernesto, fa parte del comitato di gestione votato all’ultimo Comitato politico del Prc. Con la sua componente, guidata da Fosco Giannini, non ha appoggiato il documento Ferrero-Grassi, perché lo considera «ambiguo» e perché «ho l’impressione che, in realtà, siano in gioco schieramenti che si propongono il controllo del partito, ma sostanzialmente senza modificare radicalmente la linea che ha portato al disastro».

Quali sono state secondo te le cause della sconfitta elettorale?
Certamente la partecipazione ad un governo che ha dato una prova così deludente e il voto utile. Ma questo non basta a spiegare un disastro di queste proporzioni. Non si può mettere tra parentesi il dato politico essenziale. E cioè che è fallita la proposta politica della Sinistra arcobaleno. Per altro, Bertinotti in campagna elettorale aveva chiesto il voto proprio per la costruzione del nuovo soggetto. Gli elettori hanno dato una risposta inequivocabile.

E voi cosa proponete?
Secondo me ci sono in campo due proposte alternative. L’una, quella di Giordano e Bertinotti, che lavora alla costruzione di un partito unico della sinistra; una strada che porta alla sparizione di Rifondazione comunista e alla costruzione di un soggetto politico che finirà inevitabilmente assorbito nel Pd. L’altra, la nostra, che vuole riprendere la missione originaria di Rifondazione comunista, e cioè dare vita ad un grande partito comunista rifondato, nel quadro di un rapporto a sinistra fondato su un’unità d’azione.

All’ultimo Cpn, voi avete presentato un vostro documento. Perché?
Resto dell’opinione che le due posizioni, quella di Giordano e quella di Ferrero, non siano effettivamente alternative. In questo senso vorrei capire quale sia l’effettiva posizione di quei compagni che hanno sottoscritto il documento di Ferrero. Il quale, nell’intervista al Manifesto , propone solo una diversa declinazione dell’Arcobaleno sotto forma di patto federativo: una formula ambigua. Se questa è la proposta, essa è destinata ad essere superata dai fatti; non tiene conto del risultato elettorale e dello sfaldamento in corso dell’Arcobaleno. Insomma, è una proposta intermedia che non reggerà la prova, non resisterà agli eventi. O rifluirà nella costruzione del nuovo soggetto di Bertinotti; o confluirà verso la nostra posizione.

Ma Ferrero ha spiegato che non si trattava di documenti congressuali.
L’ho capito. Però chiedo: qual è la base politica? La proposta di Ferrero, ripeto, è quella di un patto federativo. Conoscendo le posizioni delle altre componenti, non capisco come possano convergere su una proposta che, di fatto, lascia in piedi l’Arcobaleno.

Tu credi, invece, che ci siano le basi per la costruzione di una sinistra comunista?
Mi pare che tutto quello che è successo non sia il prodotto dell’insufficienza dell’opzione comunista, ma semmai della volontà di abbandonarla. Negli ultimi dieci anni, Rifondazione, sotto la guida di Bertinotti, ha subito una deriva politica e culturale, tesa a rimuovere le ragioni del comunismo, e scontato scelte che si sono rivelate sbagliate. Come, per esempio, durante la stagione movimentista, l’aver ridotto la questione del mondo del lavoro a mera componente; oppure, ancora, la scelta governista del congresso di Venezia. Nonostante la montagna di macerie che ci ha sommerso, continuo a ritenere che la maggior parte dell’elettore di sinistra si riconosca nei partiti comunisti. Una parte essenziale della domanda sociale può ancora essere raccolta attorno a posizioni esplicitamente anticapitaliste. Per altro, la possibilità della costruzione di un partito comunista e di una sinistra anticapitalista si è resa evidente con la manifestazione del 20 ottobre. E’ stato un errore non averlo compreso.

E non credi che esista anche l’esigenza di dare una risposta alla domanda venuta, per esempio, dall’assemblea di Firenze?
Che esista la necessità di ricostruire la sinistra in Italia è evidente, specie dopo la sconfitta elettorale. Ma è un’illusione pensare di poterlo fare aggregando culture politiche esistenti per costruirne una ex novo. E’ l’errore tragico che ha portato allo scioglimento del Pci e, più recentemente, all’insuccesso della sinistra europea. Sono esperimenti che conducono, alla fine, o al nulla di fatto o al riflusso nel più avvilente politicismo.

Congresso a tesi (come chiedono Ferrero e Grassi) o congresso a mozioni contrapposte?
Quella del congresso a tesi la considero una proposta incomprensibile. Dopo un simile disastro elettorale e le lacerazioni interne all’ultimo Comitato politico, non mi pare esistano basi unitarie minime che giustifichino un congresso a tesi. A meno che non si tenti di costruire le condizioni per realizzare, dopo il congresso, un patto tra le due ex maggioranze. Sarebbe l’ennesimo pateracchio.

Quindi?
Vogliamo un confronto chiaro, senza ambiguità. Per questo il congresso deve essere a mozioni contrapposte.

Però, intanto, mentre il Prc si dilania, succedono cose: presto si insedierà un governo di destra; avanza il populismo/qualunquismo di Grillo e la sinistra è fuori dal parlamento…
Dobbiamo prendere atto che ci attende un ruolo di opposizione per anni. Dovremo usare tutta la nostra energia per contrastare il governo di centrodestra, cominciando, per esempio, con il sostenere ai ballottaggi i candidati di centrosinistra. In secondo luogo, ci dobbiamo ricollocare nel conflitto sociale. Il che significa: ostacolare i tentativi di Confindustria di ridurre gli spazi di contrattazione nazionale; affrontare il tema delle pensioni e dei salari, che non avuto alcuna risposta dal governo Prodi; arginare il tentativo antidemocratico ben evidente nelle misure sulla sicurezza e nelle manovre per correggere in senso presidenzialista l’impianto costituzionale.

Senza rappresentanza istituzionale, sembra una missione impossibile.
E’ un lavoro enorme, certo, anche perché l’opposizione del Pd non sarà adeguata. Inoltre, l’agenda è sterminata per quanto riguarda i temi per una possibile iniziativa politica. Io vedo due esigenze prima di tutto: la prima quella di sostenere le forze sindacali che si battono per l’autonomia contro le derive concertative; la seconda quella che vede il Prc riposizionarsi sui territori proponendo alle forze della sinistra iniziative comuni contro i pericoli della destra. Che, ovviamente, non significa approdare al partito unico.

Domani, il nostro direttore, Piero Sansonetti, è stato convocato dal comitato di gestione: volete commissariare Liberazione ?
Nessuno vuole commissariare Liberazione ; non ho sentito alcuna proposta simile. Il problema è di stabilire un rapporto più costruttivo tra il giornale e il partito, sulla base di due necessità. La prima, che fa seguito alla nuova situazione: occorre che tutti siano impegnati nel rilancio dell’iniziativa politica e sociale, deve essere un intento comune; la seconda: è naturale che in un percorso congressuale, Liberazione sia un luogo che consenta una rappresentazione adeguata del dibattito interno al partito.

Secondo te, finora non è stato così?
Non sempre ha dato una rappresentazione plurale del dibattito interno. Il che non significa che non ci si possa attrezzare per trovare spazi e forme per dare conto delle diverse posizioni.